Economia

L’assetto mondiale cambia, ma possono cambiare anche le aziende. E in meglio

28
Aprile 2025
Di Giampiero Cinelli

(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
Il mondo imprenditoriale guarda con attenzione ai recenti sviluppi della politica internazionale, non nascondendo il timore che la vocazione esportatrice dell’Italia possa essere seriamente danneggiata. I produttori si trovano quindi a valutare altre strade, non solo in quanto a nuovi sbocchi commerciali, ma in una logica d’insieme che cambi la prospettiva. Federico Iadicicco, Presidente di Anpit, l’Associazione nazionale per l’industria e il terziario, lo dice chiaro e tondo: «Abbiamo un modello europeo incentrato sulla crescita attraverso l’export, ora si temono svantaggi soprattutto per chi produce merci, ma la crisi può trasmettersi anche al settore dei servizi, del turismo e del commercio. Se il contesto cambia bisognerà aumentare la domanda interna. Può crescere se crescono i salari, però ai salari si lega una maggiore produttività».

Della crisi della produttività italiana si parla da anni, ognuno la guarda da angolazioni diverse. Iadicicco ne fa una questione non tanto di tecnologia bensì di migliore organizzazione del lavoro, favorendo la partecipazione diretta dei lavoratori alle scelte aziendali e sfruttando la contrattazione di secondo livello per benefit come premi e welfare aziendale. «Una migliore organizzazione – rimarca Iadicicco – genera utili che permettono al datore di lavoro di pagare di più. Che così la produttività dei lavoratori salga si è visto empiricamente. Come Anpit abbiamo supportato aziende a costruire queste soluzioni, ci sono imprese che sono riuscite a pagare un premio di risultato equivalente a cinque mensilità e gli effetti sono stati assolutamente positivi. Va riscritto il rapporto tra produttività e salari, tra datore e lavoratore, il quale beneficia di utili che contribuisce meglio a creare».

In questo senso si parte ad esempio da organismi paritetici di valutazione fino a intensificare la partecipazione gestionale. «Non necessariamente quindi – spiega Iadicicco – entrando a far parte degli organi sociali o acquisendo quote societarie, punti da noi sostenuti ma che vanno graduati a seconda delle dimensioni, dell’organizzazione aziendale e delle sensibilità. In primis bisogna ottenere più responsabilità. Responsabilità che poi vengono premiate appunto».

Richieste molto precise che hanno bisogno di politica. Il Presidente di Anpit ritiene che il governo stia assecondando questa linea «che va perseguita ancora di più». E aggiunge: «In vista della definitiva approvazione del disegno di legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese, Anpit ha sviluppato uno studio – in collaborazione con il suo Centro studi Articolo 46 Impresa e Partecipazione – da cui è emerso che l’81% delle aziende è favorevole all’introduzione di meccanismi di partecipazione dei lavoratori all’interno della propria azienda; il 60% è favorevole alla presenza dei lavoratori nei Cda; il 97% è favorevole a meccanismi di premialità legati alla produttività, attraverso la contrattazione di secondo livello».

Nell’analisi l’elemento della tassazione non viene comunque tralasciato: agire sui modelli aziendali non esclude la necessità di ridurre il carico fiscale sulle imprese, anzitutto riguardo all’Irap, e sui dipendenti per le aliquote Irpef. Anpit ritiene che il problema del peso fiscale vada certamente affrontato, con uno sguardo anche allargato alla governance europea, ma crede fermamente che le risorse individuali siano di grande impatto. E infatti anche quest’anno, a metà maggio, organizza un evento di formazione, confronto e cultura. L’evento, a Taormina, si intitola “Apotheke”, che in greco significa retrobottega. Nel retrobottega gli associati potranno familiarizzare con strumenti utili relativi ad attualità, compliance, innovazione e transizione.

Articoli Correlati