Perfect Days, nelle sale dal 4 gennaio, è una riflessione poetica sul cambiamento e sulla ricerca della bellezza nel mondo intorno a noi. Il film di Wim Wenders – che ha appena ottenuto la nomination agli Oscar per la categoria di miglior film internazionale – racconta le “giornate perfette” di un addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo.
La giornata di Hirayama – Kôji Yakusho, star del cinema giapponese, già apprezzato in film come Babel e vincitore del premio come miglior attore al Festival di Cannes – segue un ordine preciso: il risveglio nel suo futon, in un modesto appartamentino alla periferia di Tokio dove tutto è in ordine e dove il protagonista trascorre il (poco) tempo libero, coltivando le sue passioni: la lettura e l’ascolto della musica. Al risveglio Hirayama segue una minuziosa pulizia personale che contempla una sistematina a barba e baffi, dunque una visita alle sue amate piante che annaffia con lo spruzzino senza tralasciare alcuna foglia e, prima di uscire – ogni santo giorno – un sobrio sbadiglio sulla porta e un sorriso al cielo e alle sue nuvole, con o senza sole.
Con indosso la sua tuta blu con su scritto The Tokyo Toilet, Hirayama prende un caffè in lattina e sale a bordo del suo camioncino per andare a lavoro: i bagni pubblici della capitale nipponica che – pur essendo di gran lunga più tecnologici e lindi rispetto a quelli italiani – il nostro uomo pulisce quotidianamente con passione smisurata e pazienza chirurgica. Gesti precisi ed essenziali che il regista tedesco 78enne – pluripremiato autore de Il cielo sopra Berlino – dirige con maestria e genio da par suo: in veste di regista e sceneggiatore (con Takuma Takasaki), mette a frutto la sua grande familiarità con il documentario. E tale appare il racconto della vita di Hirayama: una sorta di docu-film delle giornate (almeno in apparenza) sempre uguali, perfettamente scandite dal lavoro e dai suoi ritmi, e riprese con una camera nascosta.
Tutto in Hirayama è rimasto analogico, come le musicassette che ascolta.
La scelta della colonna sonora è dovuta proprio a questa predilezione. Infatti il regista spiega: “Mi sembrava sbagliato concepire uno ‘spartito’ per questa semplice quotidianità. Ma poiché Hirayama ascolta soprattutto le sue cassette di musica anni ’60 e ‘80, il suo gusto musicale ci ha regalato una colonna sonora della sua vita”: ecco che durante i suoi brevi spostamenti – all’alba per andare a lavoro e al rientro a casa, la sera – vanno le musiche dei Velvet Underground, di Otis Redding e Patti Smith, dei Kinks, di Lou Reed, oltre alla musica giapponese di quel periodo.
Appare una vita faticosa, tutta dedicata al lavoro e alla sua routine: se non fosse che lo spettatore – e questo è il genio di Wenders – a un certo punto del film, inizia a respirare allo stesso ritmo del suo protagonista, inizia a guardare il mondo, la natura, il prossimo con i suoi occhi sereni, attenti, rispettosi. Quelli attraverso cui quest’uomo mite osserva il riflesso delle foglie degli aceri sul terreno, in pausa pranzo o il brillare dei raggi del sole sulle finestre. E sembra farli propri, tanto che poi la notte se li sogna come in una specie di vita parallela, intima e autentica, che quando non lavora, segretamente conduce.
Questo film, quasi muto, racconta la purezza di un uomo, dignitoso e accogliente, che sembra resistere al cambiamento. E che riesce a incrociare solo mondi a cui ha davvero qualcosa da dire, evitando gli altri verso cui prova un sentimento di estraneità.
Koji Yakuso è lo straordinario interprete di questo racconto contemplativo e mai artefatto. Resta sospesa la domanda: Hirayama riesce a essere felice? La scena finale del film (spoiler!) in cui il protagonista – magistralmente – riesce a sorridere e a piangere insieme, risponde a questa domanda fondamentale.