Nei giorni susseguenti all’invasione russa dell’Ucraina i più attenti si sono trovati d’accordo su un fenomeno inaspettato. Assieme allo sgomento, alla confusione e alla paura, si era velocemente diffuso tra ampie fasce della popolazione italiana un nuovo interesse, quello per una disciplina chiamata geopolitica. Questa fascinazione, veniva testimoniata dalle ottime vendite (una vera e propria impennata) di una rivista in particolare, un prodotto editoriale a pubblicazione mensile e di non facile consultazione, che gode da anni di prestigio e rispetto, stiamo parlando di Limes. La corsa alle edicole, era certamente mossa dalla straordinarietà degli eventi, ma anche dal carisma e dalla fermezza del direttore della rivista, il giornalista e docente Lucio Caracciolo il quale, dai canali televisivi, era probabilmente riuscito a far percepire una cosa: il bisogno di informarsi secondo canoni ben specifici e trasparenti. Appunto i canoni definiti geopolitici.
Dal tragico febbraio del 2022 è passato un po’ di tempo, ma ancora adesso, forse anche complici gli altri importanti conflitti in atto, l’attenzione verso la dimensione geopolitica dei fatti non è sparita in Italia, e si potrebbe addirittura ritenere che sia nata proprio in quei frangenti, siccome prima, al di là degli appassionati di settore e degli addetti ai lavori intenzionati a informarsi in modo certosino, la geopolitica non era mai stata attitudine dell’opinione pubblica italiana che, se non è vero sia disinteressata alla politica, e non è vero, comunque era abituata a ragionarci attraverso i canali mediatici classici.
Ma cosa distinguerebbe l’approccio geopolitico da quello appunto classico, più giornalistico? Certamente le premesse. Queste differenze non sono state teorizzate né appaiono comunemente accettate, nonostante spesso vengano esposte proprio dagli esperti di geopolitica più noti, non solo Lucio Caracciolo ma anche da Dario Fabbri, ex giornalista di Limes e ora direttore di un’altra fortunata rivista di geopolitica, Domino, il cui editore è Enrico Mentana.
Gli insegnamenti della geopolitica
Le premesse dunque sono diverse e si comprendono a pieno se prima riflettiamo su cosa sia la geopolitica e su quando nasca. La geopolitica è senza ombra di dubbio una disciplina umanistica, non definibile in senso proprio come scienza, ma con l’ambizione di fornire un metodo limpido e il più possibile scientifico all’analisi della realtà. Ma l’analisi politica, come suggerisce il termine, deve tenere conto della posizione geografica degli attori statali. La geografia è elemento fondamentale poiché, proprio in virtù dello spazio occupato, derivano tutta una serie di osservazioni inerenti alle azioni che una nazione cercherà di intraprendere o di non intraprendere. In sostanza, la geopolitica mira a prevedere, senza pretendere l’assoluta esattezza, le mosse di un soggetto statuale in quanto si ritiene, che in base a dove il soggetto si trovi, discendano determinati obblighi o possibilità. Proprio quegli obblighi e quelle possibilità e non altri.
Diversa dal giornalismo
In cosa allora sarebbe diversa dal metodo giornalistico? La diversità emerge dal fatto che, almeno secondo gli analisti geopolitici, i giornalisti tradizionali non sempre partono da presupposti così rigidi, tendendo a sovrastimare le facoltà dei singoli e il potere dei leader, che anzi, sulla base di quanto detto, andrebbe ridimensionato in virtù delle condizioni date e dei fattori naturali. Gli elementi dirimenti possono infatti essere sia quello concreto (la geografia e la morfologia), sia quello politico, cioè la sfera d’influenza entro la quale un Paese è inserito, questa una cosa sicuramente convenzionale ma nient’affatto più trascurabile secondo la geopolitica.
Eccessivo determinismo?
A questo punto si potrebbe avere l’impressione che la disciplina geopolitica sia troppo deterministica. E certamente tale tendenza può essere ammessa. Ma gli attuali analisti, anche in Italia, ci tengono a dire che l’eccessivo determinismo era un difetto della geopolitica classica, quella nata a cavallo tra ottocento e novecento, appannaggio soltanto di strateghi militari e di funzionari che lavoravano a stretto contatto con i sovrani, cercando chiavi interpretative unicamente volte a studiare il miglior piano possibile di dominio degli altri popoli, utile poi a mantenere quell’egemonia nel tempo. In quella prospettiva, è vero, c’era molto poco spazio per i popoli, le pulsioni, gli ideali, e al contrario una forte enfasi sulla capacità dei signori, degli imperi, di conservare un ordine o di cambiarlo come avessero voluto.
La geopolitica odierna, quella umana
Oggi, invece, supremo interesse degli esperti di strategia è la cosiddetta geopolitica umana, quella geopolitica che, pur basandosi sempre sugli elementi geografici e sui rapporti di forza venutisi a creare tra le nazioni, tenta di individuare diversità e variabili, indotte dalle peculiarità delle popolazioni, ognuna unica e irripetibile. Come pensano gli europei? Cosa vogliono gli iraniani? Cosa non possono non fare gli americani? Ogni popolo è a sé stante, ognuno ha una sua natura, una sua psiche collettiva, sì influenzata dalla posizione geografica ma non solo. Ci sono la storia, la demografia, la cultura, i processi aggregativi sviluppatisi negli anni e infine c’è la classe dirigente, l’élite di quel popolo, che ha i suoi obiettivi, molto chiari, ma che – attenzione – è essa stessa espressione del popolo e non una entità da esso separata.
Struttura contro sovrastruttura
In questo modo, con un approccio multidisciplinare, che coniuga storia, geografia, demografia, filosofia, sociologia, antropologia, si cerca di capire quale sarà la traiettoria di un popolo e dunque dei popoli, visto che le collettività sono destinate a interagire tra loro. Una visione più umana, nella scienza strategica di oggi, non deve comunque far credere che la geopolitica abbia perso il suo rigore. Come abbiamo detto prima, infatti, la geopolitica resta slegata sia dal giornalismo tradizionale sia dalla disciplina delle relazioni internazionali, in quanto le relazioni internazionali vengono giudicate una dimensione con caratteristiche troppo burocratiche e di facciata, i cui iter e i cui trattati spesso franano, perché espressioni di sovrastrutture che poi non reggono mai all’impatto delle dinamiche strutturali.
Le regole basilari
Per definire bene la geopolitica, si deve infatti spiegare che essa pretende di far emergere le linee strutturali della vita politica internazionale al di là delle sue impalcature formali. Quali? Le regole in realtà sono poche e crude, agevoli da capire una volta che si entra nell’ottica. Innanzi tutto spazzando via anche una certa postura politologica: ad esempio, gli Stati non agiscono in base a convergenze ideologiche. Ad esempio: l’India è in determinanti frangenti ostile alla Cina. Perché la prima è una democrazia mentre la seconda una dittatura? No. Altrimenti non si spiegherebbe perché non vi è esplicita alleanza tra l’India e gli Usa, e perché l’India abbia rapporti distesi con Mosca. Gli Stati che aderiscono alla sfera d’influenza della Nato non lo fanno per scelta, ma perché hanno perso nella competizione militare e perché quasi da sempre il mondo va avanti attraverso la dicotomia tra imperi e satelliti degli imperi. E quelle nazioni che tuttavia sono molto disponibili ad accettare il dominio di altre, non lo fanno per affinità culturali, ma perché quasi certamente il Paese egemone è geograficamente lontano da loro. Molte nazioni asiatiche alleate degli Stati Uniti preferiscono il potere degli americani, più distanti, a quello della Cina vicina. In geopolitica la vicinanza geografica è sempre un problema e i Paesi forti tendono a voler dominare quelli confinanti. Ciò su cui la geopolitica insomma non dubita, è che la convivenza tra i popoli abbia come matrice la paura dell’altro, e non la concordia tra le collettività.
Non tutto si spiega economicamente: cos’è davvero la globalizzazione
Concetti non entusiasmanti, pessimistici. La paura dell’altro che spinge a un progetto egemonico. Eppure idee nette, maneggiabili, oneste. Strumenti ad uso di tutti e capaci di dare chiavi di lettura rassicuranti e serie. Non stupisce che la visione del mondo della geopolitica non faccia breccia in molti ambienti e che raccolga parecchia insoddisfazione, anche quando scontenta i marxisti, asserendo che l’economia non è tutto e che non tutti i fenomeni vadano spiegati con motivazioni utilitaristiche – stabilendo al tempo stesso, che la globalizzazione non sia un fenomeno solo economico e quasi astratto, indipendente dall’uomo, ma che anzi non sia altro che il risultato del controllo militare delle rotte marittime globali da parte degli Usa –. Situazione che può anche mutare determinando quindi la non impossibile deglobalizzazione.
Ma se gli italiani hanno accresciuto la loro sensibilità verso la geopolitica, sarà appunto che un simile metodo abbia intercettato un bisogno. Quello di vedere le cose con lenti nitide, non ideologizzate, molto meno emotive ma allo stesso tempo affidabili. Come se la geopolitica possa essere capace, che lo si creda o meno, di lavare via la coltre di demagogia e preconcetti, per arrivare al nocciolo delle questioni e alla natura ultima dei fenomeni sociali.