Dal 29 dicembre, giorno in cui a 82 anni si è spento Edson Arantes do Nascimento – o più semplicemente, Pelè – a Santos, città brasiliana dove O Rei è nato e cresciuto calcisticamente e dove tutt’ora vive la centenaria mamma Donna Celeste, non si fa altro che aspettare questo giorno. Il giorno del saluto alla salma del Campione. Nello stadio Vila Belmiro della cittadina brasiliana, da 24 ore ininterrotte, sfilano senza sosta persone che vogliono rendere l’ultimo omaggio ad una dei giocatori più forti di tutti i tempi. Nel pomeriggio il feretro verrà portato in processione per le strade della città fino al memorial Necropole Ecumenica dove verrà sepolto, nel mausoleo del cimitero, alla sola presenza dei familiari.
Oltre al Presidente brasiliano Lula, presente all’ultimo saluto a Pelè anche Gianni Infantino: «Come Fifa siamo qui per rendere omaggio a O Rei e abbiamo disposto che in tutto il mondo venga osservato un minuto di silenzio. Chiederemo che tutti i paesi del mondo abbiano uno stadio intitolato a Pelé, affinché anche i bambini abbiano conto di cosa sia stato lui per il calcio», ha detto il numero uno della FIFA.
Per capire chi – e soprattutto – cosa sia stato questo dio del calcio venuto dalle favelas per lo sport e per il mondo non sono sufficienti i suoi incredibili record: oltre 1200 gol in carriera, calciatore ad aver realizzato più triplette in assoluto (92), marcatore più prolifico nella storia del Brasile e unico calciatore ad aver vinto per tre volte la Coppa del Mondo (1958, 1962 e 1970). Proprio quel mondiale di Messico 70 fu quello che lo portò alla consacrazione definitiva e lo fece conoscere anche a quegli italiani che di calcio ne masticavano poco. Le semifinali di quel mondiale sono storiche. La prima è diventata La partita del secolo: Italia-Germania 4-3. La seconda, Brasile-Uruguay, è passata alla storia per una giocata che se fosse finita con la rete di Pelè sarebbe stata probabilmente la marcatura più bella di sempre: palla in profondità per il 10 verde oro che lascia sfilare il pallone alle sue spalle mandando a vuoto il portiere in uscita che viene aggirato dalla punta brasiliana che poi, però, calcio fuori di un soffio. Poi arriva quel 21 giugno 1970 allo Stadio Azteca. Gli azzurri di Riva, Rivera, Burghich, Boniperti e tanti altri ci sperava. Ma dall’altra parte c’era lui. Quel match si concluse sul 4 a 1 in favore dei brasiliani, a sbloccare la partita fu proprio lui, Pelé.
O Rei debuttò con la maglia del Santos il 7 settembre 1956 in amichevole contro il Corinthians e per 19 stagioni consecutive vestì sempre la stessa maglia, vincendo tutto. Nel 1974 lasciò il campionato brasiliano per trasferirsi alla corte dei New York Cosmos dove rimase fino al 1977 quando lasciò il calcio giocato con una amichevole tra la sua squadra brasiliana e quella americana.
Nell’anno in cui il titolo mondiale all’Argentina ha riaperto l’infinito confronto tra Messi e Maradona sul brasiliano si può tranquillamente dire che tutto ciò che nel corso degli anni hanno fatto Best, Platini, Zico, Ronaldo, Ronaldinho… per spalancare gli occhi alla gente, sombreri, elastici, rabone, tunnel e diavolerie varie, Pelé le ha fatte per primo. Anche trasferirsi in campionati minori a fine carriere. È stato l’Adamo del gioco, anzi dio, il creatore. Addio O Rei.