Cultura
Non solo arte antica. Roma è anche “contemporary”, ma manca una strategia
Di Redazione
La proposta del Museo unico di Roma antica è stato un gol di Carlo Calenda, va riconosciuto. Ma al di là del merito della proposta, di cui ci siamo occupati anche su queste colonne, è interessante sottolineare un tendenziale innalzamento dell’asticella del dibattito elettorale capitolino. Cinque anni fa, infatti, di questi tempi i temi erano ben altri, si parlava di buche e rifiuti, i social erano invasi dai selfie con voragini e discariche in ogni angolo della città e le strade disastrate di Roma erano finite sui rotocalchi di mezzo mondo. Oggi la Capitale effettivamente sta fornendo meno spunti di ilarità rispetto al passato, segno che qualcosa è migliorato. E anzi negli ultimi giorni ha fatto confrontare i candidati sul tema del Museo unico di Roma antica, su cui sono intervenuti molti assi dell’intellighentia nazionale, da Andrea Carandini a Francesco Bonami, fino a Vittorio Sgarbi e Demetrio Paparoni.
Roma ha una grande eredità culturale, che certamente può essere organizzata in maniera più appetibile e proposta in modo da macinare numeri che giustifichino l’investimento. Ma il potenziale culturale romano non è depositato solo nello straordinario e immenso patrimonio antico. È una città che ha avuto un ruolo cardine nella storia dell’arte contemporanea e che ospita sontuose istituzioni museali, fondazioni e gallerie che operano nel contemporaneo. L’eredità di Roma non si ferma al Barocco e al Neoclassico, anche se purtroppo questo spesso viene dimenticato.
Eppure negli ultimi anni qualcosa di fondamentale è successo. Nei posti giusti sono arrivati gli uomini giusti, basti pensare, solo citandone alcuni, a Bartolomeo Pietromarchi alla direzione del Maxxi Arte, Cristiana Collu alla Galleria Nazionale, Luca Lo Pinto al Macro, Cesare Pietroiusti al Palaexpo, Umberto Croppi alla Quadriennale di Roma. Non tutte sono istituzioni comunali, ma tutte sono a Roma. Stiamo parlando di un establishment competente, preparato, spendibilissimo e soprattutto estremamente autorevole. La materia prima necessaria per un grande progetto di rilancio culturale focalizzato sull’offerta contemporanea di cui Roma dispone, che è una delle più importanti a livello europeo, sicuramente la prima in Italia.
Quello che è mancato finora, nonostante i lodevoli sforzi dell’attuale amministrazione capitolina, è stata evidentemente una visione progettuale per la città, una strategia di sistema, che favorisse il dialogo tra istituzioni pubbliche e private. E tra i grandi player del settore e i piccoli, anche i piccolissimi, nuclei di produzione artistica di cui l’immenso territorio metropolitano è costellato. Parliamo non solo delle tante gallerie, ma anche di quella galassia di collettivi, associazioni, atelier, spazi autogestiti, che negli ultimi anni sono nati come funghi e che hanno contribuito alla rivitalizzazione di interi quadranti, anche sperduti, della città. Sono gruppi e gruppuscoli che nascono volutamente “emarginati”, ma che in breve tempo hanno attirato le attenzioni del “giro”, forse perché l’estrema libertà, contenutistica e logistica, di cui si nutrono li spinge a proporre cose nuove e interessanti. Si tratta di una autentica avanguardia, popolata anche da giovani artisti di riconosciuto talento, che però ha un unico limite: resta per gran parte inascoltata. E a poco servono le mostre, i patrocini istituzionali e i post sui social di qualche politico. Roma deve ritornare a favorire l’incontro tra i suoi tanti centri di produzione artistica contemporanea e le istituzioni pubbliche e private, per incentivare quella pratica sana e conveniente del mecenatismo e del collezionismo di sistema. Molti anni fa era una pratica diffusa. Sono stati gli anni in cui la Camera dei Deputati, il Senato, la Banca d’Italia, il Coni, la Camera di Commercio di Roma, per non parlare delle tante “aziende di Stato” rimpolpavano le loro collezioni acquistando (sottolineiamo “acquistando”, senza comodati gratuiti) i lavori che vedevano nelle grandi rassegne. Supportare il mercato è il modo migliore per constatare che con la cultura si può mangiare, eccome.
Finora i contenitori non sono mancati, come non sono mancati lo spirito di iniziativa e gli eventi, ma il potenziale a disposizione offre una possibilità unica: quella di un Rinascimento contemporaneo che aiuti la città a crescere e che, provocatoriamente, provi a minacciare l’indiscusso primato del fascino dell’antichità che da secoli nobilita la Città eterna.
A Shanghai, che non è Roma, nel 2019 hanno creato un format di forte impatto. Il governo del distretto di Xuhui ha istituito l’Artwork trade month, una sorta di mese del commercio durante il quale vengono introdotte importanti agevolazioni fiscali sulle compravendite di opere d’arte. Nel 2020 hanno introdotto una forte riduzione della Vat (equivalente dell’Iva) anche per le transazioni estere.
Sono esempi estremi, è chiaro, ma nascono sempre da idee. E le idee giuste sono quello che manca per mettere a frutto un asset, quello del patrimonio di arte contemporanea, che potrebbe dare tanto all’immagine e all’economia della città.
Alessandro Caruso