Cultura
L’Ucraina si aggiudica la vittoria agli Eurovision Song Contest. Un risultato che sa di politica
Di Vanessa Gloria
Si è conclusa sabato notte l’edizione in salsa italiana dell’Eurovision Song Contest, registrando un record di ascolti e un finale, alquanto prevedibile, dopo un testa a testa tra chi in Europa ci vorrebbe entrare e chi invece ne è già uscito. Da subito si nota il cambio di passo avviato già da qualche edizione con sempre più brani cantati esclusivamente in lingua inglese e sempre meno nelle lingue dei singoli Stati: in pratica più Mtv European Music Awards, meno Eurovision. Ma si sa la musica è cultura, ma anche business, così la Romania, rappresentanta da WRS, canta “Llamame” un brano completamente in stile latino in inglese e spagnolo. Esibizioni che rimandano a Jennifer Lopez come quella della Spagna e un po’ all’arte di Marina Abramovich per la Serbia. L’Italia, tra le favorite, convince poco, ma si aggiudica un dignitoso sesto posto. Chi si aspettava una doppietta per il Bel Paese, aveva decisamente peccato di ottimismo. Ce lo ha anche insegnato brutalmente la nazionale di calcio, un giorno tocchi il tetto dell’Europa e l’altro non superi le qualificazioni per i mondiali.
Il titolo è andato dunque all’Ucraina, un risultato che sa di politica. In effetti, non è mancato l’endorsement di Zelensky, che via Telegram commenta: “Nella finale dell’Eurovision, il continente e il mondo intero ascolteranno le parole della nostra lingua. E credo che, alla fine, questa parola sarà ‘Vittoria’. Europa, vota la Kalush Orchestra”. E una volta portata a casa la vittoria aggiunge: “Il nostro coraggio impressiona il mondo, la nostra musica conquista l’Europa! L’anno prossimo l’Ucraina ospiterà l’Eurovision! Per la terza volta nella sua storia. E credo – non per l’ultima volta”. Zelensky in un post su Facebook “Faremo di tutto – ha aggiunto – per ospitare un giorno i partecipanti e gli ospiti dell’Eurovision a Mariupol ucraina. Libera, tranquilla, restaurata! Grazie per la vittoria della Kalush Orchestra e a tutti quelli che ci hanno votato!”. Eppure, già la Spagna ha comunicato la propria disponibilità a ospitare la kermesse il prossimo anno, mentre altri sostengono che spetterà alla Gran Bretagna. Un risultato d’altro canto, che non ha lasciato impassibile la Russia, criticato dai media nazionali e apostrofato come un teatrino. Un concorso politico, non una gara musicale.
Non casuale, l’attacco hacker, finalizzato a fermare il conteggio dei voti e impedire l’eventuale vittoria dei Kalush Orchestra. Un allarme scattato contro un’intrusione del gruppo Legion, affiliato a KillNet, che giovedì ha mandato in tilt il sistema informatico del ministero della Difesa italiano e di palazzo Madama.
A tutto questo però si sono contrapposti i cuori lanciati da Mika, nella sua accorata e sentita esibizione, illuminata dai colori della pace e le bandiere dell’Ucraina sventolate dagli artisti.
Mai dimenticare, ma attenzione a non assuefare.
Stiamo infatti assistendo a una scelta mediatica generalista che sovrappone l’informazione alla propaganda. Perché se è pur vero che sin da subito è stata chiara la volontà dell’Europa e degli Europei di sostenere l’Ucraina e che il brano “Stefanie” è un racconto di una sofferenza corale di un popolo e un inno al coraggio, dall’altro il videoclip erode qualsiasi autenticità, tanto da suggerire delle tinte fosche, quasi macabre, poiché girato li dove ancora è fresca la disperazione, tra le rovine di Borodyanka, Gostomel, Bucha e Irpin. «Ma se Stefania è ora l’inno della nostra guerra, vorrei che diventasse l’inno della nostra vittoria» aggiunge il cantante. Un video di guerra che sembra piuttosto un trailer di un film militare.
E purtroppo la realtà è decisamente più cruda di un film: lo stesso Oleh Psiuk, il frontman della Kalush Orchestra subito dopo la vittoria si è arruolato con l’esercito ucraino. Ha lasciato Torino ed è partito per la guerra. E questo ci dovrebbe lasciare in silenzio, a dispetto dei fiumi di commenti e interpretazioni che ascoltiamo tutti i giorni e dei continui interventi di Zelesky, che pur di tenere alta l’attenzione, rischiano che di finire nel dimenticatoio delle parole e di chi, a lungo andare, poi audience non ne fa più. Poichè l’attenzione andrebbe misurata e rivolta, davvero alle tante Stefanie che fuggono, alle numerose Stefanie rinchiuse nel buio dei bunker, alle Stefanie che non se l’aspettavano, alle tante Stefanie che non avranno più tempo di ascoltare quella canzone che in realtà parla proprio di loro, di quelle donne vittime dei conflitti sparsi per il mondo.