Secondo il Rapporto sul rafforzamento del mercato unico europeo, presentato in aprile da Enrico Letta, “Much more than market”, dalla crisi finanziaria in poi la crescita media dei Paesi europei è stata meno della metà di quella statunitense. Con divergenze interne ancora più marcate: in Italia per esempio, la crescita media annua pro capite nel quindicennio 2008- 2023, è stata nulla.
Ancora. Nell’Ue esistono non meno di 45 operatori mobili, contro gli otto degli Stati Uniti e i quattro della Cina. E la forte concorrenza impedisce alle compagnie di telecomunicazioni continentali di investire con la stessa velocità che caratterizza altri Paesi: le regole sono quelle di 20 anni fa, quando il mondo era totalmente diverso e l’unica strada per avere un futuro è di riscriverle totalmente.
Due esempi diversi che testimoniano come – per dirla con le parole di Ennio Flaiano – “la situazione è grave, ma non è seria”. E che l’imperativo della “nuova” Europa” sarà riuscire a ricostruirsi più forte di prima. Per non morire.
Ne hanno discusso – al XVIII Incontro del Landino presso il Monastero di Camaldoli – Micol Flammini de Il Foglio e Alessandro Barbera de La Stampa in un dibattito dedicato all’Europa del futuro.
Von der Leyen e la legislatura esistenziale
Il secondo mandato di Ursula von der Leyen si apre con una legislatura che diversi esperti hanno definito “esistenziale”: certo, quella uscente non è stata meno esistenziale. La presidente della Commissione Ue ha anni durissimi alle spalle con una pandemia e due guerre (una alle porte dell’Europa) e in risposta, il bilancio – con il debito comune e gli acquisti centralizzati (per i vaccini) – può dirsi positivo considerate le minacce esistenti.
Eppure, secondo la giornalista de Il Foglio, pur trovandosi a gestire crisi internazionali e prove molto dure, von der Leyen ha dato sì prova di efficienza, negoziazione e buona amministrazione ma non di visione: “Sempre pronta a negoziare su tutto, a livello interno, questo ha prodotto dei danni: per esempio riguardo allo stato di diritto, che è stata disposta a tralasciare quando si trattava di discutere con l’Ungheria di Viktor Orbán o con la Polonia quando era governata dagli euroscettici del PiS. Far passare l’idea che, dopo tutto, sullo stato di diritto è possibile chiudere un occhio è un danno non indifferente per un’Unione basata sui valori. L’Ungheria l’ha capito, sfrutta la sua posizione, non ha paura delle minacce e sa che prima o poi sulle sue beghe antidemocratiche, Bruxelles cederà”.
Von der Leyen, dunque, avrebbe dimostrato di non sapersi immaginare un’Europa forte – “Il problema dell’Eu non è il sovranismo ma il fatto che sia molto poco sovrana” – consapevole del suo posto nel mondo, pronta a rivoluzionarsi quando è necessario.
Trump alla Casa Bianca?
Perché, al contrario, l’Europa deve prepararsi a tutto: al possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, intanto. In questi anni la presidente della Commissione si è fidata del suo rapporto con Joe Biden, del suo “America is back” pronunciato nel 2021: ma se con Biden l’America è tornata, potrebbe di nuovo chiudersi in se stessa e se questa posizione è stata difficile da gestire durante la prima Amministrazione Trump, con una guerra ai confini diventa un “rischio esistenziale”, appunto.
Benintesi, l’Europa ha fatto enormi passi avanti ma la storia e i contesti nazionali dell’Unione ne richiederebbero molti di più: dunque, argomenta Alessandro Barbera, “è ancora molto lontana da quella che dovrebbe essere per vincere le sfide di oggi”. Che hanno nomi e cognomi: Usa e Cina.
La Cina fa shopping in Europa
Uno degli esempi più paradigmatici riguarda le tecnologie verdi: i numeri ci dicono che il 2023 – nel mondo e anche in Italia – è stato un anno record per le fonti rinnovabili, peccato che l’anno scorso più del 97% dei pannelli solari installati nell’Unione siano stati precedentemente importati, innanzitutto dalla Cina che ne è la maggiore produttrice al mondo. È un problema: perché la transizione ecologica, oltre a ridurre le emissioni, dovrebbe rafforzare la sicurezza energetica dell’Europa; ma allo stato attuale delle cose Bruxelles rischia di sostituire la dipendenza da Mosca per il gas con una dipendenza da Pechino per le tecnologie verdi: batterie, veicoli elettrici, turbine eoliche, moduli solari.
Intanto, l’industria fotovoltaica europea è sull’orlo del precipizio. I cinesi hanno un vantaggio di costo che sembra imbattibile: riescono a costruire pannelli solari a 16-18,9 centesimi per watt di capacità di generazione, mentre le aziende europee sono intorno ai 24-30 centesimi per watt. In Cina la manodopera costa meno, ma soprattutto costa meno l’elettricità che alimenta le fabbriche, in gran parte fornita dal carbone; lo Stato, poi, offre alle imprese terre a prezzi di favore e prestiti a tassi vantaggiosi. In Europa è il contrario: l’elettricità è cara – la produzione del polisilicio, la materia prima dei pannelli, ne consuma tanta – e i terreni industriali pure.
Ma i dazi potrebbero non bastare a pareggiare gli squilibri, e comunque non sono benaccetti da tutti i ventisette membri.
La difesa che manca
Per dirla con Mario Draghi, “L’Europa così com’è, muore”. Insomma, diventa marginale, e per essere competitiva rispetto agli Usa e alla Cina, deve cambiare non solo il passo ma la propria agenda.
Certo, Trump e Vance non hanno ancora vinto le elezioni di novembre e con il ritiro di Biden i giochi si sono riaperti, ma l’Europa deve avere una progettualità e prepararsi. Anche sulla difesa: “Non esiste una difesa comune perché non c’è un’industria della difesa e nessuno scudo Ue”, sottolinea Barbera. Che riflette: “Trump non potrebbe mai smantellare la Nato, ma disinteressarsene, disinvestendo sì”.
E a giudicare dalle dichiarazioni del vice di Trump, J.D.Vance (secondo cui Kiev dovrebbe smetterla di difendersi dai russi per agevolare la pace), l’Unione farebbe bene a lavorarci su: “Abbiamo bisogno che l’Europa svolga un ruolo più importante nella sicurezza”, ha detto Vance e non perché non ci interessi l’Europa, è perché dobbiamo riconoscere che viviamo in un mondo in cui le risorse sono scarse”. Non manca l’approccio pedagogico al nostro continente, cita Flammini: “Il problema con l’Europa è che non fornisce abbastanza deterrenza da sola perché non ha mai preso l’iniziativa sulla propria sicurezza. La protezione americana ha permesso agli europei di atrofizzarsi”.
Baricentro dell’Ue spostato a Est
Negli ultimi due anni, il baricentro dell’Unione si è spostato a Est: con il motore franco-tedesco che ha smesso di funzionare, il fianco orientale europeo è diventato più determinante di quello a Ovest di cui l’Italia fa parte. Certo, i paesi dell’Est Europa sono più piccoli e poveri ma con la guerra vicina, hanno acquisito consapevolezza dei pericoli “esistenziali” che incombono.
E l’Italia?
Dal prossimo anno l’interlocutore del secondo debito dell’Ue non sarà più Paolo Gentiloni, il commissario uscente all’Economia: e per il ministro Giorgetti che nel frattempo deve concordare la “traiettoria tecnica” dei conti italiani dei prossimi 7 anni, questa sarà una grana in più. Oltre quella del Recovery Plan sulla cui scadenza il ministro dell’Economia italiano ha iniziato a chiedere una proroga alla scadenza (giugno 2026). Ma può “il Paese che ha detto no a von der Leyen chiedere ulteriori deroghe all’attuazione del piano per il quale ha già ottenuto svariate concessioni?”, si chiede Barbera. Occorre aspettare per conoscere la risposta. Ma intanto, a settembre, si apre un dossier molto delicato per l’Italia: la prima applicazione del nuovo Patto di stabilità. E Giorgetti ha già detto che le indicazioni della Commissione saranno rispettate.