di Paolo Bozzacchi
Non si arresta il lento spegnimento dell’industria dei media in Italia. In costante declino da oltre un decennio, a prescindere dall’andamento dell’economia nazionale. Il grido d’allarme viene dalla relazione annuale Agcom a cura del presidente Giacomo Lasorella, presentata in Parlamento.
''In Italia l'effetto più evidente (e più preoccupante) è quello dell'indebolimento dell'industria italiana dei media, il cui valore economico è in calo da oltre un decennio”, ha dichiarato Lasorella. “Ciò conferma non solo la fragilità della nostra industria culturale, ma segnala probabilmente anche un vuoto di politica industriale da colmare in un settore che gode di grande prestigio nel mondo quanto a sapienza tecnica e qualità dei contenuti''. Sono le preoccupati parole del presidente Agcom Giacomo Lasorella nella relazione annuale al Parlamento.
I ricavi complessivi dei media sono scesi a fine 2020 a quota 11 miliardi di euro, con una perdita rispetto al 2019 di oltre un miliardo (-9,5%) in linea con la variazione del PIL italiano calato di 9 punti. I periodici sono il comparto editoriale che ha sofferto di più (-36% raccolta pubblicitaria).
I numeri definitivi 2019, si legge nella Relazione, parlano altrettanto chiaro: il Sistema Integrato delle Comunicazioni (SIC) vale 18,1 miliardi di euro, in discesa di un ulteriore 1,4% rispetto al 2018. Di questi i media audiovisivi e le radio pesano per circa metà della torta (48%), mentre l’editoria elettronica e la pubblicità online sono cresciuti del 2% nel periodo, e hanno toccato quota di mercato pari al 20%. Seguono, a distanza, il below the line (iniziative di comunicazione e sponsorizzazioni), il cinema e la pubblicità esterna.
COME VA L’EDITORIA
I primi 10 gruppi operanti nel SIC sono: Comcast Corporation/Sky Italian Holdings, RAI, Fininvest-Mediaset, Mondadori, Mediamond, Alphabet/Google, Cairo Communication, Facebook, GEDI Gruppo Editoriale, Netflix, Amazon e Discovery.
Insieme rappresentano con 11,3 miliardi di euro di ricavi il 62% del mercato SIC. In prima posizione c’è Sky, con una quota di ricavo superiore al 15%, segue la RAI, con una quota compresa tra il 10 e il 15%, che ha superato Fininvest, anch’essa con una quota compresa tra il 10 e il 15%.
Tra gli altri soggetti si legge nella Relazione che “continua a crescere il peso delle piattaforme online”. Alphabet/Google è quarta nella Top10 dei ricavi, Facebook sesta, Netflix ottava e Amazon nona.
COME CAMBIA LA FRUIZIONE
“La televisione si conferma il mezzo principale per l’acquisizione di informazioni” ha aggiunto Lasorella, “evidente e sempre più rapido lo spostamento verso le piattaforme online”.
L’anno appena trascorso ha evidenziato l’affermarsi dell’ on-demand, sia da parte di operatori tradizionali (RAI e Mediaset) che nuovi (Netflix, Amazon Prime, Dazn). Un primo effetto è stato l’affermazione delle offerte televisive a pagamento sul web, che sono le uniche che registrano crescita (+7%) e hanno raggiunto quota 21% del mercato. La crescita delle piattaforme online come Netflix e Amazon e l’ingresso nel 2020 di Disney con l’offerta Disney+ hanno avuto un impatto non indifferente sul segmento video on demand determinando la riduzione della concentrazione del relativo mercato.
Lato media tradizionali, i dati Agcom evidenziano una “progressiva riduzione nell’uso dei quotidiani e della radio per informarsi. Nonostante la crescita dell'audience e del consumo di informazioni in Tv e Internet, i risultati economici sono fortemente negativi per tutti i mezzi di comunicazione e le analisi mostrano flessione degli introiti pubblicitari causata sia dalla minore disponibilità di spesa degli inserzionisti sia dall’abbassamento dei prezzi di vendita degli spazi pubblicitari, ad eccezione di quelli online”.
Se la pandemia era sembrata poter invertire qualche tendenza in termini di consumo dei quotidiani, così non è stato. “Nel secondo trimestre 2020 solo il 17,6% degli italiani ha scelto di informarsi sui quotidiani, con trend discendente”.
L’Agcom nel 2020 ha censito 105 testate cartacee, per un valore complessivo di oltre 1,1 miliardi di copie (-13,4% rispetto al 2019). Magra consolazione la pluralità: nessun editore ha superato la soglia di legge del 20% della tiratura globale.
Il trend purtroppo non cambia. E il rischio che il watchdog della democrazia perda troppo di peso e incisività non è più uno spauracchio. Ma una dura realtà con la quale fare i conti.