Cultura
FGCult 2023: le opinioni di Pini, Parsi, Bruchi, Vianello e Montanari sul futuro del giornalismo
Di Paolo Bozzacchi
Si è chiusa con un successo di pubblico e di visibilità l’11esima edizione del Festival del Giornalismo Culturale di Urbino “Leggere per [*] Il futuro del giornalismo nell’era degli schermi”, dedicata alla lettura. Il Presidente Piero Dorfles e i direttori Lella Mazzoli e Giorgio Zanchini hanno annunciato il tema del 2024: “L’Altro Sguardo”. FGCult 2024 esplorerà a tutto tondo l’universo femminile.
The Watcher Post è stato Media Partner del Festival di Urbino, e abbiamo scelto di riportare le dichiarazioni più significative di alcune delle grandi firme del giornalismo presenti a FGCult quest’anno.
La provocazione di Giorgio Zanchini è stata molto alta: “Come difendete la democrazia da giornalisti?” Qui di seguito cosa hanno risposto:
Agnese Pini (direttore QN, Il Giorno, Il Resto del Carlino, Il Telegrafo): “L’informazione è oggi stravolta. La rivoluzione digitale ha cambiato i connotati ai fruitori. Il luogo deputato al dibattito sono diventati i social network. Le democrazie devono essere informate per definizione. Il potere dell’informazione deve restare il potere di chi vuole conoscere. I social network si basano invece su leggere i post e farsi un’opinione. Sui social si cerca un’opinione rapida. Il pericolo è che i social network disabituino i fruitori a spendere tempo per conoscere. Questo è un problema anche per la democrazia per chi fa informazione. Oggi il dibattito pubblico avviene sul terreno dell’opinione fast food. I social network hanno trasformato l’informazione in pillole votate a fare opinione e ottenere un like. Il nostro mestiere di giornalisti è un altro. Compito dell’informazione è consentire un sapere e un potere. Per farsi un’opinione c’è bisogno di pazienza. Il pericolo di oggi è che il modello dell’opinione fast food stia cambiando i connotati alla stessa opinione pubblica”. Poi aggiunge: “I giornali sono in profonda crisi economica, si sono oggettivamente impoveriti. Così come i giornalisti si sono impoveriti. Questo perché la pubblicità sui giornali vale oggi molto meno anche solo di 10 anni fa. Anche le condizioni di lavoro sono peggiorate e c’è anche un problema generazionale tra giornalisti. Oggi i giornali di carta e il sistema di informazione tradizionale sono però ancora un assoluto baluardo per ottenere informazioni qualificate. Non ci sono più corrispondenti e inviati. E questo peggiora l’offerta qualitativa dei Media tradizionali di oggi. Anche l’opinione pubblica non vede di buon occhio i giornalisti. Prima formava massa critica, oggi questo lo fanno i social network. Pensate che oggi qualsiasi cosa diciamo noi giornalisti è immediatamente confutabile grazie alla Rete. Ma il momento non è così tragico come sembra. Dieci anni fa la situazione era peggiore, perché i giornali sono ancora in crisi, ma gli editori hanno capito che bisogna lavorare seriamente alla trasformazione digitale, che è un’opportunità. Come per tutte le rivoluzioni, anche quella digitale richiede tempo. Il lavoro del giornalista va portato avanti nella stessa maniera, che sia in ambito tradizionale o digitale. Oggi la strada è farsi pagare gli articoli, non andare a caccia di clic. Questa è la nostra salvezza, e gli editori lo hanno capito.
Vittorio Emanuele Parsi (politologo, editorialista): “Se è vero che i giornali rispondono penalmente di ciò che scrivono, allora 4-5 giornali italiani sarebbero già chiusi. Abbiamo un rapporto malato con le fake news che immancabilmente continuano a tornare e a ritornare. Il motivo? In Italia il fact checking non interessa a nessuno. Ne sono esempio le bugie che continuano a circolare sulla guerra in Ucraina e sui migranti. Eppure non riescono a screditare chi continua a dirle. Noi Italiani non abbiamo tradizionalmente rispetto per la competenza. L’esperienza Covid ne è un esempio lampante. Visto che siamo in tanti a pensare che esistano i Rettiliani, che l’uomo non sia mai andato sulla Luna e tanto altro…
La complessità è fatta di due elementi: la velocità e l’aumento esponenziale delle variabili che caratterizzano la nostra condizione di fruitori di informazione. Nostro malgrado queste variabili si associano in modo imprevedibile. Molto di ciò che si potrebbe fare su questo per fortuna dipende ancora da noi. Quando diciamo che è tutto più complicato abbiamo ragione. Ma anche Pericle non si interfacciava con Ateniesi facili o acculturati. Oggi noi cittadini della democrazia abbiamo molti altri strumenti per decodificare le informazioni. A patto che lo vogliamo. La democrazia presuppone impegno, alla milanese sbattimento. Se non c’è consapevolezza e attivazione personale non funziona nulla. Si tratta di responsabilità”. Riguardo al giornalismo culturale: “Oggi ci sono molte più fonti informative e siamo potenzialmente più liberi. C’è però un problema di riconoscimento della competenza e del rispetto per la cultura. La cultura da sempre ha subìto un omaggio formale da parte dell’informazione che è risultato il miglior modo per isolarla. Pasolini definiva gli Italiani conformisti e aveva ragione. La tendenza al conformismo è rimasta del tutto intatta ancora oggi. Uno dei problemi dell’Italia è che la Costituzione è arrivata troppo in anticipo rispetto alla diffusione di una cultura democratica italiana. L’Assemblea Costituente in questo senso ha costretto il Paese ad un compromesso molto alto. Ultimo di quel livello ancora oggi. Noi la cultura democratica in Italia non siamo riusciti a costruirla. Lo si nota dalla radicalizzazione delle idee politiche di oggi. Il Generale USA George Marshall (quello del famoso Piano) consentì la vittoria americana contro Nazisti e Fascisti. In uno dei suoi rari discorsi durante il conferimento della sua laurea honoris causa ad Harvard nel 1947 spiegò così come gli USA fossero impegnati a “ricostruire il tessuto sociale europeo”. “Dobbiamo farlo per riattivare il sistema internazionale democratico, grazie all’istruzione. Dobbiamo spiegare la complessità del mondo per far capire agli Americani ciò che stiamo facendo”. Così come Nietzsche in “Così parlò Zarathustra” spiegava che Zarathustra non cercava simili, ma fratelli e sorelle, oggi bisogna spiegare alle persone che stiamo cercando persone che poi si facciano la loro idea sulle cose. Zarathustra cerca donne e uomini liberi. Fratelli e sorelle, non discepoli. La democrazia è un continuo viaggio basato sulla verità, ed è per questo che va in conflitto con l’informazione. Le fake news si devono comunque confrontare con la verità, e questo ci dà speranza. Nel nostro sistema democratico la moneta corrente è la verità. Dobbiamo ricordarci questo quando pensiamo alla democrazia. E’ il sistema più gentile per governare gli esseri umani.
Annalisa Bruchi (conduttrice Restart RAI3): “Nel giornalismo televisivo purtroppo è l’audience che comanda, e questo rende molto molto più complicato costruire conoscenza. Andrebbe ripensato il servizio pubblico, perché comunicare non è informare, e ci vuole impegno. Così come sono necessari investimenti economici significativi. Perché solo in questo modo si può investire anche nella qualità, che richiede tempo e spazio. Io credo nel servizio pubblico e nella meritocrazia”.
Andrea Vianello (direttore San Marino RTV): “Prendiamo ad esempio la pandemia. In Italia ci siamo vaccinati più di altri, perché gli Italiani si sono fidati della scienza. E lo hanno fatto anche perché sono stati correttamente informati dal servizio pubblico. Altro esempio: la guerra in Ucraina. Resta un fatto: un Paese ne ha invaso un altro. Se non ce lo ricordiamo quando raccontiamo la guerra, ogni analisi è vacua. Il servizio pubblico deve rimettere sempre questo concetto al centro. La sfida è trasmettere l’autorevolezza di chi parla e delle fonti da cui arrivano le notizie”.
Andrea Montanari (direttore Rai Radio3): “La democrazia vive di verità. Ma qual è la capacità del discorso pubblico di riflettere attuale mosaico sociale? Le élites di questo Paese sono molto autoreferenziali e i soggetti deboli, soprattutto i giovani, faticano a entrare nel discorso pubblico. La questione della guerra in Ucraina ha portato ad un abbassamento della fiducia nei Media main stream. Ma quanto sono realmente interessati i giovani al tema della guerra? Io credo interessi loro molto di più il loro futuro, il futuro del loro lavoro, la loro salute psichica ecc. Tutti temi ad oggi quasi completamente fuori dai Media main stream. Sta di fatto che i Media riflettono i nostri interessi, perché i palinsesti li fanno dei 50enni e non dei giovani. E questo resta un grande problema.