Cultura

Festival del giornalismo culturale di Urbino. Lella Mazzoli: «La ricetta della nostra integrità? Siamo liberi»

28
Settembre 2022
Di Alessandro Caruso

Dal 7 al 9 ottobre Urbino ospita la decima edizione del festival del giornalismo culturale, una rassegna diventata un perno della scena intellettuale nazionale. Come ci sono riusciti? Ne abbiamo parlato con Lella Mazzoli, direttrice del Festival insieme a Piero Dorfles e Giorgio Zanchini: «Libertà e qualità sono la nostra spina dorsale».

E sono dieci. La decima edizione del Festival del giornalismo culturale di Urbino quest’anno sembra rinnovare il tema dell’edizione di esordio che era “Dalla terza pagina al web”. Quest’anno il titolo invece è “Dal web alla terza pagina”. Cosa è successo nel mondo dell’informazione in questi 10 anni?
«Tutto. Dieci anni fa il web era già forte e avevamo iniziato a interrogarci sul suo futuro, perché la carta resisteva. Oggi la tecnologia si è sviluppata moltissimo, ma la domanda è se si sia sviluppata altrettanto la nostra capacità di decodificazione, forse tra qualche edizione del festival lo sapremo meglio. Il tema è la qualità. In molti sostengono che il digitale abbia abbassato il livello qualitativo dell’informazione, ma non sono d’accordo, perché anche sulla stampa esistevano le fake news e l’informazione “spicciola” e superficiale. La stampa tradizionale ha futuro se non si sovrappone al web. Deve saper offrire un’esperienza di lettura diversa e alternativa, il che presuppone anche un diverso modo di scrivere».

Quali sono i momenti cardine di questa edizione del festival?
«Sarà una tre giorni molto intensa e dedicata a riflettere sui vari aspetti dell’innovazione, su come questi hanno stravolto i modelli di business e su come sia, di conseguenza, cambiato il lavoro degli editori. Ad esempio, siamo sicuri che il paywall abbia funzionato? Piuttosto sarà interessante il confronto sull’ascesa del podcast, la lectio di Gianrico Carofiglio, la presentazione della ricerca Ipsos su come gli italiani si informano. E poi ci saranno anche alcuni eventi collaterali che riscuoteranno certamente grande attenzione».

Di che si tratta?
«Uno è il dibattito con quattro chef stellati per capire come la tecnologia ha influito sulla tradizione. E poi ci sarà la piece teatrale Ahi, l’A.I. Vivere col robot di Piero Dorfles, liberamente ispirato a Io Robot di Isaac Asimov, con l’introduzione di Paolo Di Paolo».

Qual è il ruolo del Festival nello scenario culturale italiano?
«È diventato negli anni un punto di riferimento intellettuale per capire e analizzare le frontiere della comunicazione culturale. Ed è un punto di osservazione molto avvincente per tracciare un profilo molto attento della società contemporanea».

Da sinistra Giorgio Zanchini, Lella Mazzoli e Piero Dorfles

E cosa dà al Festival del giornalismo culturale quell’autorevolezza e credibilità di cui gode?
«In Italia siamo un po’ malati di “festivalite”, ma forse la ricetta della nostra affidabilità sta nel fatto che evitiamo di presentare libri e di ragionare con le case editrici, questo garantisce una certa autonomia intellettuale a tutti i nostri protagonisti. L’altro punto di forza sta nel fatto che puntiamo sull’interdisciplinarietà totale per parlare di cultura a 360 gradi».

Lei è anche direttrice della prestigiosa Scuola di giornalismo di Urbino. Alla luce di questi cambiamenti dell’informazione, come sta cambiando il modo di insegnare la professione?
«È cambiato in modo radicale. Quando abbiamo iniziato, nel 89/90, avevamo una strumentazione di alto livello per l’epoca ma che oggi sembrerebbe rudimentale. Oggi insegniamo ai ragazzi come girare e produrre un servizio giornalistico con i telefonini di ultima generazione. E il punto cardine del corso è la redazione de ilducato.it».

Qual è il legame del festival del giornalismo culturale con la città di Urbino?
«Urbino è sempre stata un salotto intellettuale grazie alla figura di Carlo Bo. Noi ci impegniamo ogni anno a continuare questa tradizione. E devo dire che nei giorni del festival è sempre un piacere vedere la vitalità della città: gli ospiti non vengono per fare il loro speech per poi andarsene. Si fermano, animano tutti i momenti della rassegna e questa integrazione contribuisce a nutrire la linfa culturale del tessuto sociale della città».

Il Festival è apolitico per tradizione. Ma ci sono appena state le elezioni. Cosa vi aspettate dal nuovo estabilishment politico per quanto riguarda l’informazione e la cultura?
«La libertà. E la possibilità di mantenere alta la qualità dell’informazione. Devo dire che nelle Marche questo festival, a prescindere dai colori delle giunte che si sono susseguite, ha sempre goduto di grande supporto, senza mai condizionarne la libertà di espressione. Mi aspetto che il nuovo governo sia responsabile nel proteggere l’informazione, nell’interesse del dibattito democratico e della crescita socioculturale del paese».

Info e programma: https://www.festivalgiornalismoculturale.it/