“Sia reso grazie all’oscuro burocrate australiano che, fermando Djokovic sulla porta di casa, ci ha ricordato che i vincenti non devono vincere sempre” La chiusura dell’editoriale di Gramellini sul Corriere della Sera racchiude il “Novak Gate”. Per ora si può dire solo Game e Set, si attende il 10 gennaio per scandire la parola Match della vicenda che vede il Premier australiano, Scott Morrison, contro il n.1 al mondo del tennis per la presunta irregolarità del suo visto che, in mancanza della vaccinazione contro il Covid, non sarebbe conforme al regolamento degli Australian Open.
L’Ei fu Novak Djokovic, ormai “Novax Djokovid”, non abbassa la testa di fronte alle regole di Morrison e decide di fare ricorso. Da questa presa di posizione deriva la sospensione dell’espulsione e l’attesa dell’udienza fissata per lunedì. Nel frattempo soggiornerà presso un albergo a Melbourne (nettamente inferiore rispetto agli standard a lui dedicati).
I giorni di stallo prendono le sembianze di una partita prima dell’inizio degli Australian Open. Da una parte del campo il Premier australiano, fermo nel considerare inadeguato il visto dell’atleta in mancanza del vaccino; dall’altra parte Djokovic, che dichiara di aver già contratto il virus il 16 dicembre ma notoriamente non vaccinato, con un 2021 iniziato nel migliore dei modi.
La prima vittoria arriva proprio dallo slam in questione, segue l’alzata del trofeo su terra rossa per eccellenza dopo aver battuto in semifinale Nadal e in finale Tsitsipas. Si presenta a Wimbledon da difensore del titolo e dopo aver concesso un solo set a Berrettini porta a casa il terzo slam della stagione.
Le Olimpiadi di Tokyo rappresentano lo scalino per raggiungere un possibile Super Grande slam, ma Zverev si impone in semifinale e Djokovic si posiziona quarto perdendo anche la medaglia di bronzo. Gli US Open si prospettano come un’occasione di riscatto, ma ad avere la meglio in finale è il russo Medvedev. Infine le ATP Finals, iniziate con l’infortunio di Berrettini e concluse con Zverev re di Torino.
E quindi? Rimane pur sempre il n.1 al mondo. Vero, ma ci sono due varianti che non possono essere sottovalutate: la prima è quella anagrafica, un atleta di 34 anni è difficile che rimanga in vetta al ranking mondiale senza alcuno sforzo; la seconda è la “garra” dello sportivo.
Novak Djokovic nato nel 1987 a Belgrado, non è solo il portabandiera della Serbia nel mondo ma ne incarna la tradizionale tenacia. Di riflesso la decisione non è di lasciare l’Australia, scelta perseguita oggi dalla tennista ceca Voracova dopo essere stata fermata per un’irregolarità nel visto – vicenda, quella della n.81, che, guarda caso, non ha avuto la stessa audience – ma di fare ricorso.
Da questo momento in poi le prese di posizione a difesa di Novak non hanno tardato ad arrivare: subito il Presidente e il Primo Ministro serbi, a seguire i componenti della famiglia Djokovic e così via. Giustificazioni? No, semplice presa di coscienza. Guardando al quadro generale è chiaro che si fa presto a generare una boutad tra vax e novax.
Dall’altra parte della rete gioca l’Australia, una nazione che arriva a 0 contagi dopo 7 mesi di lockdown, la nostra “Fase 1”, e che, ad oggi, con 50mila contagiati ha rinviato la A-League. Un Paese con una storia giovane, che nasce come colonia penale inglese. E forse è anche per questo che l’Australia sia così attaccata alle regole.
La palla che rimbalza tra i due campi è la mail, del 7 dicembre, inviata dal Tennis Australia all’ATP (Association of Tennis Professionals) e ai giocatori con le direttive per poter partecipare allo slam. Qualcuno in merito la verità l’ha detta: «Djokovic conosce le regole e le conseguenze da pagare, è una sua libera scelta» sono le parole di Rafael Nadal.
Quindi perché farlo arrivare fino in Australia? Forse perché giocare uno slam senza il numero 1 non ha la stessa risonanza? C’è chi ritiene che a doversi esporre dovrebbero essere gli organizzatori degli Australian Open. Ma ad oggi questo non è ancora successo e non rimane che una sterile polemica.
Ma c’è anche chi ritiene che questa partita già adesso si stia già concludendo senza vincitori né vinti. Perché se è vero che la libertà è sacrosanta finchè non si invade quella degli altri, è vero anche che il rispetto delle regole, insite nello sport come nella società, è un principio inderogabile, soprattutto quando si è ospiti. In Italia, per vox populi, si sa a chi viene attribuita la ragione; un motivo in più per credere che sarà uno scontro a perdere.