Cultura
Al Pirelli HangarBicocca la mostra di Saodat Ismailova: una ricerca sul tema dell’identità
Di Alessandro Caruso
Saodat Ismailova è un’artista uzbeka che da 20 anni indaga la dimensione collettiva della memoria e la resistenza all’impatto delle attività umane sull’ambiente. La sua ricerca spazia da saperi ancestrali e pratiche tradizionali, a storie più recenti. Nell’incorporare filmati d’archivio o elementi tessili locali, contribuisce inoltre a preservare attività o tradizioni artigianali che rischiano di scomparire. In questo modo, Ismailova rielabora il passato coloniale e con esso la questione dell’identità nella regione, coniugando miti e pratiche animiste con i sogni delle persone che abitano queste terre. Fa parte di quella generazione post-sovietica che ha vissuto la transizione politica e sociale di un territorio considerato remoto e misterioso in Occidente, ma tuttavia denso di tradizioni e storia, luogo di passaggio di migrazioni e contaminazioni culturali.
Dal 12 settembre 2024 al 12 gennaio 2025, al Pirelli HangarBicocca c’è la prima antologica dedicata a Saodato Ismailova, dal titolo “A Seed Under Our Tongue”. Con nuove produzioni commissionate proprio da Pirelli HangarBicocca, la mostra rappreseta la prima rassegna personale dedicata a Saodat Ismailova in un’istituzione italiana. Le opere, che includono film, sculture e installazioni, realizzate dall’artista nella sua ventennale ricerca, sono presentate in un ambiente spaziale appositamente concepito. Riflettendo sul concetto di trasmissione – di conoscenze, così come di storie, memorie o territori naturali – e sulle sue implicazioni, “A Seed Under Our Tongue” unisce differenti narrazioni, creando un’atmosfera stratificata. Attraverso un’intricata sovrapposizione di ricordi, paesaggi, immagini, tempi e storie diversi, personali e collettivi, i visitatori si trovano immersi in una complessa realtà culturale, sociale e politica.
LA MOSTRA
Il titolo della mostra, “A Seed Under Our Tongue”, è un riferimento alle nuove opere esposte: tra queste il film in progress Arslanbob (2023-24) e le sculture collegate, il seme d’oro di Amanat (2024) e il calco in resina di una grotta in The Mountain Our Bodies Emptied (2024). Prendendo spunto da una leggenda locale – che parla di un seme di dattero nascosto sotto la lingua e tramandato attraverso epoche e persone diverse fino a trasformarsi – la mostra riunisce dodici opere, sei film e sette sculture, che esplorano il concetto di trasmissione e l’idea, nelle parole dell’artista, “che siamo responsabili delle sette generazioni che ci hanno preceduto e delle sette che verranno dopo di noi”.
La trasmissione, tema ricorrente nell’opera di Ismailova, comporta il rischio della perdita, ma contiene anche le nozioni di ciclicità e circolarità. Allo stesso modo, la struttura della mostra riflette e ruota intorno a queste implicazioni, seguendo le storie dei due principali fiumi dell’Asia centrale, l’Amu Darya e il Syr Darya (Oxus e Jaxartes in greco), le cui acque un tempo alimentavano l’ormai arido Lago d’Aral.
IL PERCORSO ESPOSITIVO
Disegnato in collaborazione con lo studio di architettura Grace di Milano, il layout di mostra si sviluppa tra le due grandi installazioni a tre canali che racchiudono l’intero spazio espositivo: Stains of Oxus (2016) e Arslanbob (2023-24), film girati rispettivamente sulle rive dell’Amu Darya e nell’area oltre il Syr Darya, nell’attuale Kirghizistan. La mostra ripercorre metaforicamente il viaggio del seme di dattero – dal suo inizio, conservato nella bocca di una figura mitica di nome Arslanbob, fino al suo dono a colui che sarebbe diventato il più importante e noto mistico dell’Asia centrale, Akhmad Yassawi, che con esso fondò la foresta di noci nota col nome di Arslanbob – sottolineando la natura contraddittoria di qualsiasi forma di trasmissione, che consente a un dattero di farsi noce. In modo simmetrico, rispetto a Stains of Oxus, all’estremità opposta della mostra si trova Arslanbob, l’ultimo film di Ismailova, ancora in lavorazione, girato nell’omonimo noceto del Kirghizistan meridionale e sul vicino monte Sulaiman-Too, antico luogo di culto dell’Asia centrale. Sito avvolto da un’aura mistica e luogo di pratiche pre-islamiche, si trova nella fertile Valle di Ferghana, una delle aree più densamente popolate del mondo. Traducibile letteralmente come “la porta della tigre”, Arslanbob si collega anche ad altre opere della mostra, come la scultura in vetro A Guide (2024), oggetto ibrido in vetro composto da ossa di una mano umana e da quelle di una zampa di tigre.
L’ARTISTA
Ismailova ha esposto in numerose importanti istituzioni, tra cui JOAN, Los Angeles (2024); Eye Filmmuseum, Amsterdam, Le Fresnoy – Studio national des arts contemporains in collaborazione con il Centre Pompidou, Parigi (2023); Center for Contemporary Arts, Tashkent (2019); Ilkhom Theatre, Tashkent (2018); Tromsø Kunstforening, Tromso, Norvegia (2017).
I suoi film e le sue installazioni video sono stati presentati anche in mostre collettive internazionali come Diriyah Contemporary Art Biennale, Fondazione in Between Art and Film, Venezia (2024), Shanghai Biennale of Art, Sharjah Biennial (2023); Biennale di Venezia, documenta 15, Kassel, (2022); Meet Factory, Praga (2021); Para Site, Hong Kong, Rockbund Art Museum, Shanghai (2019); Lunds konsthall (2018); Yinchuan Biennale (2018).
Nel 2013 Ismailova è stata fra gli artisti che hanno rappresentato l’Asia centrale alla Biennale di Venezia, mentre nel 2018 la sua performance musicale dal vivo Qyrq Qyz è stata presentata in anteprima alla Brooklyn Academy of Music di New York. Il suo lavoro è ampiamente riconosciuto anche in ambito cinematografico, ed è stato presentato in rassegne quali, tra le altre, il Festival internazionale del cinema di Berlino (2014) e il Festival internazionale del cinema di Rotterdam (2005). Ha ricevuto numerosi premi, tra cui Eye Art & Film Prize, Amsterdam (2022); Documenta Madrid (2018), Golden Alhambra Award, Granada Cines del Sur Film Festival (2014), Tashkent International Biennale of Contemporary Art (2014) e Torino International Film Festival per il miglior documentario (2004). Nel 2021 ha fondato il gruppo di ricerca Davra, dedicato allo studio, alla documentazione e alla diffusione della cultura e della conoscenza dell’Asia centrale.
Nell’immagine in alto: 18,000 Worlds, 2023 (video still). Courtesy l’artista. ©Saodat Ismailova