Cultura

Addìo Bill Viola, il Caravaggio della videoarte

18
Luglio 2024
Di Alessandro Caruso

È stato uno dei maestri nel campo dei nuovi media, pioniere della videoarte e dell’arte installativa, che rallentando le immagini e i movimenti ha spostato l’attenzione degli spettatori sul mondo interiore dell’intera umanità: l’artista statunitense Bill Viola è morto venerdì scorso nella sua casa di Long Beach, in California, all’età di 73 anni. L’annuncio della scomparsa è stato dato dalla moglie Kira Perov, sua collaboratrice creativa, precisando che la causa è stata una complicazione del morbo di Alzheimer. Tra i più importanti nomi dell’arte contemporanea a livello internazionale, Viola ha realizzato in mezzo secolo di carriera installazioni visionarie e video immersivi, indagando sulle esperienze umane fondamentali come la nascita, la morte e la coscienza. L’artista, che si era guadagnato il soprannome di “Caravaggio della videoarte”, ha portato un senso di bellezza senza tempo e una spiritualità millenaria nel nuovo medium.

PERCHÉ È STATA IMPORTANTE LA SUA ESPERIENZA ARTISTICA
Quando all’inizio degli anni Settanta gli artisti cominciavano a lavorare con il video, Viola si è rapidamente guadagnato la reputazione di mago della tecnica, abile nei nuovi metodi di registrazione e montaggio. Molti dei suoi primi lavori riflettevano il fascino degli effetti speciali, come i loop di feedback input-output per riempire lo schermo di distorsioni visive e le installazioni di sorveglianza a circuito chiuso. Poi l’interesse per il buddismo zen, il sufismo islamico e il misticismo cristiano, tutti stimoli che hanno sempre più plasmato le sue scelte artistiche. L’euforia di armeggiare con la tecnologia video ha lasciato presto il posto all’uso di questa tecnologia per esplorare il potere della coscienza umana, con la sua illusione di un perpetuo presente. Molte delle sue opere più potenti rallentano lo scorrere del tempo in modo che gli spettatori diventino consapevoli della propria presenza fisica e dei propri pensieri.

LE OPERE “CRISTIANE”
Viola ha affrontato spesso temi esplicitamente cristiani. Nel 1983 ha creato un’installazione, “Room for St. John of the Cross”, con video e suoni che evocano la minuscola cella in cui San Giovanni della Croce, mistico spagnolo del XVI secolo, scrisse poesie estatiche nonostante fosse stato torturato per mesi. “The Passions” è la serie di opere, in cui l’artista lavora per tre anni alla rappresentazione delle passioni e delle sofferenze umane: “Dolorosa” (2000), “Catherine’s Room” (2001), “Surrender” (2001), “Observance” (2002). La sua installazione a tema più recente è “Visitation” ( 2017), che riflette il passaggio tra la vita e un altro mondo secondo la fede cristiana.

Video still by Bill Viola, from Opéra national de Paris’ production of Tristan und Isolde, 2005.
Photo: Kira Perov

LE SUE MOSTRE
Tra le numerose mostre dedicate alla sua opera si ricordano quella organizzata dal Whitney Museum di New York, che è stata presentata a Los Angeles, New York, Amsterdam, Francoforte, San Francisco e Chicago (1997-2000), l’ampia antologica tenutasi al Grand Palais di Parigi (2014) e, in Italia, le esposizioni allestite a Roma (2008-2009, Palazzo delle Esposizioni), Firenze (2011-12, Museo Gucci; 2017, antologica articolata in diverse sedi, da Palazzo Strozzi al Museo dell’Opera del Duomo), a Palermo (2021-22, Purification, Palazzo dei Normanni), Roma (2022, Palazzo Bonaparte) e Milano (2023, Palazzo Reale). Ha partecipato con installazioni a diverse edizioni di Documenta di Kassel (1977, 1992) e della Biennale del Whitney Museum of American Art di New York (1975, 1983, 1985, 1987).

LA SUA VITA
Nato a New York il 25 gennaio 1951, Bill Viola ha studiato (1969-73) nel dipartimento di studi sperimentali del College of visual and performing arts della Syracuse University di New York. Accanto all’interesse per il video come mezzo espressivo ha coltivato quello per la musica, studiando con David Tudor (1926-1996) e collaborando con il suo gruppo Composer inside electronics (1974). Dal 1974 al 1976 a Firenze è stato direttore tecnico di produzione dello studio di videoarte Art/Tapes/22, collaborando con artisti europei e americani (Giulio Paolini, Mario Merz, Jannis Kounellis, Vito Acconci), dove si innamora di Michelangelo e del Manierismo di Pontormo, Rosso Fiorentino e Agnolo Fiorentino. Con un lungo soggiorno in Giappone (1980-81, nell’ambito della Japan/US creative arts fellowship) ha approfondito lo studio delle tecnologie avanzate del video e i suoi interessi per le filosofie orientali studiando con Daien Tanaka, pittore monaco zen. Nei suoi filmati video o videoinstallazioni multimediali elementi e suggestioni tratti da fonti diverse (musica, teatro, filosofia, mass media) vengono trasfigurati in sequenze di forte impatto emotivo, in liriche o disorientanti allegorie di cicli vitali, che tendono al totale coinvolgimento dello spettatore. Nei videotape (“Migration”, 1970; “Hatsu Yume. First dream”, 1981) e nelle sempre più complesse videoinstallazioni multimediali dense di significati metaforici (“The theatre of memory”, 1985; “The sleep of reason”, 1988; “Slowly turning narrative”, 1992; “Buried secrets”, presentata alla Biennale di Venezia del 1995), Viola ha esplorato i confini soggettivi della percezione attraverso l’alterazione dei connotati temporali, sonori o visivi delle immagini ottenendo un fluido continuum di realtà e illusione.