Cultura

A Faber, poeta che cantava la libertà

11
Gennaio 2024
Di Ilaria Donatio

L’11 gennaio di 25 anni fa, a 59 anni, ci lasciava Fabrizio De André: uno dei più importanti cantautori italiani della scuola genovese, capace di catturare – tra musica e parole – l’animo umano, le fragilità, le passioni e di instaurare un legame fortissimo con il suo pubblico.

Benedetto Croce, ricordava in un’intervista De André, diceva che “fino a diciotto anni tutti scrivono poesie, dopo i diciotto anni, rimangono due categorie di persone a scrivere poesie: i poeti e i cretini. Quindi io, precauzionalmente, preferirei considerarmi un cantautore”.

Chi lo ascolta e lo ama, potrebbe aggiungere: “E chissà come sarebbe stato invecchiare con lui, chissà quali sorprese, anche dal punto di vista creativo, ci avrebbe fatto!”. Anche perché gli piaceva ripetere a chi glielo chiedeva: “La mia canzone più bella la devo ancora scrivere”. E se ne comprende anche la ragione, considerato che, per lui, i versi in musica erano “come una vecchia fidanzata con cui passerei volentieri buona parte della mia vita”.

Amato da tutti
D’altra parte, Fabrizio De André è stato uno dei cantautori più “democratici” della musica italiana: piaceva moltissimo sia all’intellettuale snob, ai fantomatici radical-chic di sinistra, che all’operaio che usciva dalla fabbrica, magari con le mani sporche di grasso. Un cantautore, un poeta, un intellettuale, un “uomo contro” che – come canta lui stesso, si muoveva in “direzione ostinata e contraria”: anche questo è Fabrizio De André, uno dei grandi protagonisti della musica italiana.

Un poeta del suo tempo. E anche del nostro:

Dormi sepolto in un campo di grano

Non è la rosa, non è il tulipano

Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi

Ma son mille papaveri rossi.

La ballata folk de “La guerra di Piero” – ispirata allo zio che aveva combattuto in Albania durante la guerra mondiale – parla della morte di un soldato per mano di un altro soldato: entrambi sul campo di combattimento – un uomo contro un altro uomo, in tutto identici salvo che per la divisa che indossano – in un anonimo campo di grano. Se non fosse per i papaveri, gli unici fiori sulla sua lapide: omaggio ai soldati deceduti in battaglia, e simbolo di libertà.

Sfrenatamente libero
Ed è stata sempre la libertà il motore della sua passione per la politica ad accompagnarlo per tutta la vita: frequentava i circoli libertari di Genova e diceva di essere anarchico o, più ironicamente, “alla sinistra del partito comunista cinese”: “Io penso che un uomo senza utopia, senza i suoi ideali – dunque, senza passioni e senza slanci – sarebbe un mostruoso animale fatto solo di istinto e di raziocinio”, andava ripetendo a chi lo interrogava su che tipo di fede politica lo animasse.

Anche dal punto di vista artistico, De Andrè è stato un ricercatore sfrenatamente libero, quello che tra tutti i cantautori italiani ha saputo attingere alle forme più differenti di musica: dalla ballata folk nord-americana alla poesia medievale francese.

E per spiegare cosa fosse la musica, riferendosi a “Il Suonatore Jones”, disse: “Per Jones la musica non è un mestiere, è un’alternativa: ridurla a un mestiere sarebbe come seppellire la libertà”:

Libertà l’ho vista dormire

Nei campi coltivati

A cielo e denaro

A cielo ed amore

Protetta da un filo spinato.

Libertà e politica. Libertà e musica. Libertà e amore.
“Vengo dalla Sardegna, vengo da Amburgo, vengo da qualsiasi altro luogo. Ma soprattutto vengo da Genova”, diceva: la città che più lo ha ispirato nel suo percorso di uomo e artista. E “In via del Campo”, a Genova – lui racconta – “mi invaghisco di una donna che si poteva chiamare Clara o Anna e, invece, scoprii solo dopo che si chiamava Giuseppe”. Non un amore da niente che ha per palcoscenico, una delle strade più degradate della città, ma una poesia contro l’ipocrisia e un inno all’umanità, soprattutto a quella più povera:

Ama e ridi se amor risponde

Piangi forte se non ti sente

Dai diamanti non nasce niente

Dal letame nascono i fior

Dai diamanti non nasce niente

Dal letame nascono i fior

Angeli e demoni
E se in “Tutti morimmo a stento”, scritta nel ’68, De André parla della morte, psicologica, morale, mentale – “ciascuno di noi si imbatte nella morte diverse volte, durante la propria vita: quando muore un amico, quando perdiamo il lavoro, per rinascere, dopo”- ne “La buona Novella” (il quarto album del cantautore, pubblicato nel 1970) il cantautore genovese sembra trovare alcune risposte, dando “un esempio enorme di intelligenza e di pietà, nel senso di pietas, come amore vero e interesse per il prossimo”, per citare Mauro Pagani, polistrumentista, compositore e produttore discografico italiano vicinissmo a De André.

Ma questa personalità così complessa, ricca di slanci, generosità, poesia, allegria e silenzi, combatteva anche contro molti demoni personali: “Non ho ancora capito, malgrado i miei 58 anni, cosa sia la virtù e cosa esattamente sia l’errore”.

Seguono gli anni dell’alcolismo: “L’ho visto bere una bottiglia di whisky al giorno”, testimoniano molti suoi amici. Fino alla richiesta fatta sul letto di morte, dal padre, a metà degli Anni ’80, di smettere: il gesto che gli salvò la vita.

Creuza de ma
E finalmente, nel 1984, De André visse una nuova giovinezza e scrisse il capolavoro assoluto di “Creuza de ma”: un “romanzo di avventure” lo ha definito Ivano Fossati, “dove i pirati sono finti e i costumi sono noleggiati”. “Il campionario umano che bisogna andarci a cercare è, come dicono a Roma, nella monnezza”, ha chiosatoPagani.Con l’intuizione geniale di averlo scritto in genovese: un “dialetto-lingua” che nasconde una forza e una potenzialità incredibile. Che lo ha reso libero di uscire dagli schemi.

Eppure, al giornalista che chiedeva “Quale canzone più ti somiglia, Fabrizio?”, lui rispondeva, senza dubbi: “Sicuramente, Bocca di rosa”.

Chi era “bocca di rosa”? Una donna dedita all’amore libero da vincoli, un grande personaggio femminile – uno dei tanti – di Faber, una donna libera che esalta le virtù rivoluzionarie dell’amore. Che scardina i luoghi comuni, affollati da ipocrisia e convenzioni, e incarna un ideale di vita, appassionato e libero:

C’è chi l’amore lo fa per noia

Chi se lo sceglie per professione

Bocca di rosa né l’uno né l’altro

Lei lo faceva per passione.