Ambiente
Agenda Onu 2030, per l’Italia il rapporto Asvis 2024 è preoccupante
Di Giampiero Cinelli
L’Italia è in «enorme ritardo» nel percorso per raggiungere i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e registra addirittura peggioramenti, tra il 2010 e il 2023, su povertà, disuguaglianze e qualità degli ecosistemi terrestri. Lo rileva il Rapporto Asvis – Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile “Coltivare ora il nostro futuro”, indicando che, dei 37 obiettivi quantitativi legati a impegni europei e nazionali, solo otto sono raggiungibili entro la scadenza del 2030, 22 non lo sono e per altri sette il risultato è incerto.
Tra il 2010 e il 2023, il Paese ha registrato peggioramenti per cinque Goal: povertà, disuguaglianze, qualità degli ecosistemi terrestri, governance e partnership. Limitati miglioramenti si rilevano per sei Goal: cibo, energia pulita, lavoro e crescita economica, città sostenibili, lotta al cambiamento climatico e qualità degli ecosistemi marini. Miglioramenti più consistenti riguardano cinque Goal: salute, educazione, uguaglianza di genere, acqua e igiene, innovazione.
Tra gli obiettivi reputati raggiungibili, il 60% del tasso di riciclaggio dei rifiuti urbani, la copertura garantita a tutte le famiglie alla rete Gigabit, ridurre al di sotto del 9% la quota di giovani che non studiano/lavorano. In forse invece l’azzeramento del sovraffollamento carcerario, il raddoppio del traffico merci ferroviario. Attualmente non raggiungibili a questo, ritmo, invece, il 20% in meno dell’uso di fertilizzanti, il gap occupazionale di genere, il 42,5% di energia da fonti rinnovabili e una riduzione del 20% dei consumi finali di energia, la protezione del 30% delle aree marine e terrestri (il 73,4% degli stock ittici è in stato di sovrasfruttamento).
Unico miglioramento molto consistente interessa l’economia circolare. La situazione appare ancora più grave se si considera il divario tra le preoccupazioni della popolazione e l’azione politica. Secondo recenti sondaggi, nove italiani su dieci sono preoccupati per lo stato degli ecosistemi e il 62% è convinto che il pianeta stia raggiungendo pericolosi ‘punti di rottura’ e chiede una transizione ecologica più rapida e incisiva, mentre il 93% ritiene che l’Italia debba rafforzare i propri impegni nella lotta al cambiamento climatico.
Asvis ricorda che «le Nazioni Unite, attraverso il ‘Patto sul Futuro’ firmato il 22 settembre, hanno individuato 56 azioni su cui i leader mondiali di sono impegnati, riguardanti cinque aree prioritarie: sviluppo sostenibile, finanza, pace e sicurezza, cooperazione tecnologica e rafforzamento della governance globale. Molte delle azioni sono finalizzate a migliorare la governance mondiale, riformando l’Onu (compreso il Consiglio di Sicurezza), l’Organizzazione mondiale del commercio e le grandi istituzioni internazionali, e riconoscendo il diritto dei Paesi emergenti e in via di sviluppo ad assumere ruoli maggiori in esse». Anche l’Unione Europea, nonostante l’integrazione degli SDGs nelle politiche comunitarie nella legislatura 2019-2024, stenta a rispettare la tabella di marcia per raggiungere l’Agenda 2030.
Enrico Letta, nel suo intervento all’evento di presentazione, ha affermato che «la questione principale per i prossimi cinque anni riguarda il Green Deal e come lo si finanzia. Alcune cose andranno aggiustate ma il problema principale è come lo si finanzia: se non c’è un piano finanziario chiaro da parte dell’Ue tutte le categorie che saranno socialmente ed economicamente toccate dai cambiamenti del Green Deal lo ostacoleranno. Letta pensa soprattutto all’integrazione del mercato del risparmio, per far restare in Europa i capitali utili agli investimenti.
Lara Ponti, vicepresidente di Confindustria, ha detto che l’associazione degli industriali «condivide gli obiettivi del Green Deal» ma non va bene se poi il messaggio che sembra arrivare dall’Europa è «arrangiatevi». Vanno strutturate meglio modalità e tempistiche, ma in una logica ampia; Ponti ha fatto capire insomma che la principale criticità non è per forza lo stop al 2035 della produzione di auto a motore endotermico.