Ambiente
Orso Jj4: non siamo più abituati alla Natura perché non la conosciamo più
Di Simone Zivillica
Per cause di orsa maggiore, da un paio di settimane il paese dei 60 milioni di allenatori da Serie A è diventato il paese di zootecnici, biologi, esperti di fauna selvatica, di gestione delle aree boschive e della loro convivenza con le comunità montane limitrofe. Ora, però, dopo due settimane di opinioni e fatti bistrattati c’è una finestra temporale, forse troppo piccola ma tanto basta, per cercare di fare ordine nella bufera animale, umana, politica e comunicativa che si è scatenata intorno all’uccisione di un giovane in Trentino mentre faceva jogging. La colpevole, un esemplare femmina adulta di orso bruno, denominata con una di quelle fredde sigle che autorità locali politiche e veterinarie affibbiano alla fauna selvatica: la killer di Andrea Papi, 26 anni, è Jj4.
Se i killer sono umani si incarcerano, talvolta a vita, altre per qualche decina d’anni. Se sono animali, invece, di solito si abbattono perché dimostrano una comprovata aggressività e non sono quindi adatti a vivere in zone in cui possono capitare incontri con l’uomo. Si lasci perdere, almeno per il momento, il fatto che una categoria propria del vivere civile, come quella del killer, o addirittura dell’aggressività, non siano applicabili a creature animali che nulla hanno da condividere con sovrastrutture tutte umane e tutte proprie del vivere in comunità prima e in società poi. La realtà, stante letteratura in merito e prassi, è quella.
Non avrebbe fatto eccezione la storia di Jj4 che si è macchiata, ulteriormente, di recidività. L’orso, infatti, già nel 2020 aveva aggredito due cacciatori – armati di fucili per sparare, non cacciatori per gioco – ma era stata “graziata” dalle autorità. Eppure, anche stavolta, Jj4 non sarà abbattuta, almeno per ora. La Lega anti vivisezione (Lav), infatti, ha vinto il ricorso presentato contro la decisione della Provincia autonoma di Trento che, una volta accertata la colpevolezza del plantigrado tramite esami del Dna, aveva deliberato la caccia all’orso. La Lav, in un comunicato, chiarisce che “questa ordinanza ha il sapore di una vendetta nei confronti dell’orso e non la ricerca di sicurezza attraverso la convivenza pacifica, nel rispetto della vita dei cittadini e degli animali”.
Inoltre, al fianco di Jj4 sono scese in campo anche altre associazioni, nello specifico Ente nazionale per la protezione animale (Enpa), Lega italiana animali e ambiente (Leidaa) e l’Organizzazione internazionale per la protezione animale (Oipa), che hanno annunciato un ulteriore ricorso rispetto a quello della Lav e che dovrebbe arrivare al Tar in valutazione nelle prossime ore. Si legge, nel comunicato congiunto delle associazioni, che “i metodi per ottimizzare la convivenza con gli orsi e per evitare possibili conflitti ci sono ma, come dimostra la tragedia di Caldes, non sono stati attuati o sono stati attuati in modo insufficiente. Tra questi, il monitoraggio in tempo reale degli orsi; la chiusura agli escursionisti di alcune aree; la distribuzione capillare di cassonetti anti-orso; l’installazione di recinzioni elettrificate; efficaci azioni di sensibilizzazione e d’informazione rivolte a turisti e residenti”.
Dall’altra parte della foresta ci sono cittadini spaventati, amministrazioni forse impreparate e sicuramente poco inclini a subire sconfitte politiche, soprattutto se l’attacco arriva dal selvatico, che non vedono altra soluzione se non l’abbattimento degli esemplari aggressivi. Ora, è sicuramente noto in letteratura scientifica così come nel senso comune, che gli animali possono essere più o meno aggressivi, più o meno inclini alla violenza. È così con i cani, con i gatti, con i colombacci che popolano le piazze più famose d’Italia e con i cinghiali che scorrazzano per le vie della capitale. Viene da sé che se parliamo di un orso la componente di ostilità dell’animale può salire vertiginosamente, sta nell’ordine delle cose.
Il problema, ça va sans dire, è che con un orso è difficile che ci s’incontri, almeno per chi scrive articoli o post sui social dalle scrivanie di uffici in centro città. C’è tutta un’umanità, però, che con il bosco dietro casa ci vive e ci ha sempre vissuto. Ciò con cui non ha sempre vissuto sono gli orsi. Questi sono arrivati con furgoni ed elicotteri (forse non gli elicotteri) a inizio anni 2000 in nome di un progetto dal nome altisonante: Life ursus. Ecco, le associazioni ambientaliste dell’epoca decisero che era ora che gli orsi tornassero a popolare le alpi orientali, quindi si presero una quarantina di orsi dalle foreste slovene e li si trapiantarono in quelle trentine. Il risultato? Una specie non abituata a un contesto in cui la convivenza con l’uomo, giocoforza, è un fattore determinante della sopravvivenza, è stata inserita in un habitat che non era più il suo. Eppure lo era stato, decine e decine di anni prima, prima che venisse sterminato dall’uomo, che ne era impaurito non avendo – allora – i mezzi per conoscerlo e per conviverci. Oggi quelle stesse zone sono profondamente cambiate e l’antropizzazione di vallate e pendii è a livelli impensabili rispetto a quelli dei primi anni ’50 del secolo scorso. Nonostante ciò, si decise di reinserire una specie ormai estinta in quel territorio, accendendo la miccia che poi avrebbe portato a diverse deflagrazioni durante questi oltre vent’anni, di cui la tragedia dell’aggressione dell’orso Jj4 è solamente l’ultima in ordine cronologico.
Che fare, quindi? La prima idea sarebbe prendere esempio da quelle realtà dove una convivenza con grossi predatori è costante e quotidiana, pur se non priva di qualche incidente, spesso minore. Innanzitutto il caso abruzzese. In Abruzzo, infatti, la popolazione condivide da sempre il territorio con una specie endemica, l’orso marsicano, che per alcune ragioni non ha mai dato gli stessi problemi che si sono riscontrati a più riprese in Trentino Alto Adige. Il primo motivo è l’antropizzazione degli spazi. Infatti, la densità turistica del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise è molto minore di quella che si registra in Trentino. Il secondo motivo è la differenza tra l’orso marsicano e quello bruno che si trova in Trentino. Il primo è abituato alla presenza umana, soprattutto a evitarla. Già dal 1924, inoltre, per la specie è stata prevista una tutela inesistente in altre zone, e questo ha fatto sì che l’orso marsicano abbia, oggi, un comportamento compatibile con il territorio in cui è cresciuto e in cui si trova, stabilmente da cent’anni. Anche grazie al bracconaggio, poi, l’orso d’Abruzzo ha presto imparato che la presenza dell’uomo non porta buone notizie. Infine, il numero: dei circa 200 orsi presenti in Italia, la grande maggioranza si trova in Trentino, e solo una minoranza in Abruzzo, ed è ovvio che più orsi ci sono più è facile incontrarne uno.
Un altro esempio a cui guardare è senza dubbio quello statunitense. Gli Stati Uniti d’America, infatti, hanno una foltissima presenza di grossi predatori – e non solo predatori – nei parchi nazionali di cui sono infinitamente ricchi. Incontrare un orso bruno, dalle dimensioni tra l’altro ben più grandi dei loro cugini europei, in un parco nazionale non è affatto raro. È capitato anche a chi scrive, addirittura dentro a un campeggio ai piedi di El Capitan, l’immenso ammasso roccioso all’interno dello Yosemite National Park: chiunque sapeva come comportarsi, a che distanza tenersi dall’animale, come non intimidirlo o innervosirlo, e l’orso si è comportato esattamente come non ci si sarebbe aspettati: è sparito in silenzio e improvvisamente, così come era comparso. Nel campeggio, così come in tutte le aree remote, è vietato non riporre qualsiasi bene, alimentare e non, nelle apposite bear-box, scatole ad apertura a prova d’orso – di cui anche l’Abruzzo si è fornito in alcune zone – pena anche 5mila dollari di multa.
Certo gli Stati Uniti vantano spazi immensi e l’antropizzazione in molti posti è ridotta a meno del minimo, ma il punto sta proprio qui. In un luogo come il Trentino di oggi gli orsi non dovrebbero esserci, ma dal momento in cui ci sono le soluzioni che rimangono sono esclusivamente due. Da una parte la forca, ossia l’uccisione degli animali alla medievale maniera – qualora non venga effettuata secondo piani di contenimento dei numeri ma solo in conseguenza a un incidente come quello di cui è rimasto vittima Andrea Papi. Dall’altra la convivenza, anche se forzata e anche se vorrà dire interdire alcune zone al turismo e alle persone che abitano quei luoghi. Alcune di queste soluzioni sono proposte dalle associazioni ambientaliste così come dagli organi preposti allo studio di tali tematiche, cercando di lasciar fuori dal dibattito la comunicazione giornalistica alla ricerca di clic facili e la politica in cerca di nemici e vittorie di Pirro. La Natura, purtroppo, l’uomo contemporaneo la conosce troppo spesso solo per come gli è stata consegnata dai propri antenati. Imparare a conviverci necessita di molti passi oltre rispetto alla prefigurazione, spesso fiabesca, che abbiamo di flora e fauna domestica.
Intanto l’orso Jj4 è stato catturato nella notte tra il 17 e il 18 aprile. La prefettura, ora, è in attesa che i documenti depositati per procedere all’abbattimento siano valutati dal Tar. La precedente ordinanza è stata, come si scriveva sopra, sospesa in seguito ai ricorsi delle associazioni animaliste, e l’udienza è fissata per il prossimo 11 maggio. Nel frattempo, l’orso Jj4 è rinchiuso in attesa di giudizio.