Ambiente

L’ambiente come l’aborto, nel mirino della Corte Suprema USA

06
Luglio 2022
Di Daniele Bernardi

Dopo che le sentenze della Corte Suprema statunitense su armi e, soprattutto, aborto hanno fatto discutere il mondo intero su questi temi, i giudici americani si sono espressi nuovamente su un’altra questione: quella ambientale.

È dello scorso giovedì 30 giugno, infatti, la pronuncia della Corte Suprema contro l’EPA, l’agenzia per la protezione ambientale americana. I giudici hanno dichiarato che l’agenzia non sarebbe autorizzata, così come si è pensato finora, ad emanare direttive per ridurre le emissioni di anidride carbonica.

La sentenza, frutto del processo dell’EPA contro lo stato del West Virginia, è passata col voto favorevole di 6 giudici conservatori, di cui 3 nominati dall’ex presidente Donald Trump, e 3 voti contrari. Tra i primi sei c’è il presidente della Corte John Roberts, che a fine sentenza si è così espresso: “Porre un tetto alle emissioni di anidride carbonica ad un livello tale da costringere ad una transizione nazionale fuori dall’uso del carbone per generare elettricità può essere ‘una soluzione sensibile alla crisi del giorno’. Ma non è plausibile che il Congresso abbia dato all’EPA l’autorità di adottare questi schemi”.

Tra i voti favorevoli, anche quello del giudice conservatore Neil M. Gorsuch che ha affermato: «Quando il congresso sembra lontano dal risolvere i problemi, potrebbe sembrare naturale che l’Esecutivo cerchi di prendere nelle proprie mani queste materie. Ma la costituzione non autorizza l’agenzia ad usare una regolazione ‘Pen-and-phone’ come sostituto delle leggi approvate dai rappresentanti del popolo».

Contraria invece la giudice liberale Elena Kagan: «Oggi la Corte priva l’EPA del potere che le ha dato il Congresso di rispondere alla più pressante sfida ambientale del nostro tempo” e continua “la Corte appunta su di sé la capacità di decidere sulle politiche climatiche […] non posso pensare a qualcosa di più spaventoso».

La questione ruota attorno al Clean Air Act, una legge emanata per la prima volta nel 1963 per la quale, secondo la Kagan, il Congresso avrebbe autorizzato l’EPA a spingere per il ‘miglior sistema di riduzione delle emissioni’, un sistema che può e deve evolversi con le circostanze.

Di parere opposto il giudice Roberts che, vista la data del provvedimento, non ritiene possibile si possa usarlo per legittimare l’atteggiamento dell’EPA, accusata di forzare il passaggio dal carbone alle fonti rinnovabili, prevaricando sull’organo legislativo del Congresso, unico vero rappresentante degli interessi del popolo.

Anche nel Congresso, ovviamente, gli schieramenti sono molto polarizzati. Il leader della maggioranza al Senato Charles Schumer ha accusato la Corte di “riportare il paese indietro a quando baroni rapinatori e élite economiche avevano il completo potere e i cittadini medi non avevano voce in capitolo”.

Al contrario, il leader della minoranza Mitch McConnell ha affermato: “La Corte ha annullato la regolazione illegale emanata dall’EPA senza una chiara autorizzazione del Congresso e ha confermato che solo i rappresentanti del popolo, non i burocrati non eletti, possono scrivere le leggi della nostra nazione”.

Interpellato sulla questione durante il Summit della NATO in Spagna, il Presidente Joe Biden si è espresso contrariamente alla decisione della Corte, sostenendo di voler rimediare quanto prima con una nuova legislazione che dia nuovi poteri all’EPA. La sentenza, infatti, mette in pericolo l’obiettivo prefissato dall’amministrazione democratica di raggiungere il 100% di energia pulita entro il 2035. Ciononostante, i numeri dei dem in Senato non bastano e, a giudicare dai sondaggi, non basteranno neanche dopo le elezioni di Midterm.

La decisione della Corte Suprema statunitense, in accordo con le precedenti, si esprime in direzione di un progressivo smantellamento dell’apparato pubblico nell’economia e in favore di una maggior liberalizzazione dei mercati, anche se a danno dei diritti dei cittadini.

Nella comunità economica, le grandi imprese si dividono: tra la filiera delle fonti fossili che argomenta sostenendo la necessità del carbone per mantenere i prezzi dell’energia bassi e affidabili e le big tech, per lo più già orientate verso un’energia pulita, che chiedono regole ferree ed estese su tutto il territorio volte a contrastare il disastro climatico.

La questione è molto pericolosa per l’ecosistema del nostro pianeta: gli USA sono il secondo paese al mondo per emissioni annue di gas a effetto serra e, al di là dei numeri e dei contributi anche storici di inquinamento, sono uno dei principali esponenti della questione climatica in Occidente, con il rischio, dunque, che anche altri paesi decidano di seguire l’esempio americano.