Ambiente
Clima, il report di Eni per centrare l’obiettivo e non superare 1,5°C
Di Giuliana Mastri
Eni ha presentato oggi il primo volume del rapporto IRENA World Energy Transitions Outlook: 1.5°C, in collaborazione con l’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili. Un contributo autorevole utile a vedere più chiaro sulla situazione clima e decarbonizzazione. Hanno partecipato, nel Complesso Eni Gazometro di Roma Ostiense, Vannia Gava, Viceministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Clara Poletti, Commissario Arera e Presidente Board dei Regolatori – Acer, Francesco La Camera, Direttore Generale IRENA, Claudio Descalzi, Amministratore Delegato di Eni ed Elizabeth Press, Director Planning and Programme Support IRENA.
Muovendo dalla consapevolezza che solo un numero limitato di Paesi si sta muovendo per sperare che la temperatura terrestre non aumenti oltre l’1,5°C, è stato ribadito che sono necessarie politiche pubbliche significative per rendere uniformi gli interventi in termini di tecnologie e geografie.
La leva delle rinnovabili
Nello scenario IRENA, per stare entro l’1,5°C ci vuole un buon mix energetico globale, che aumenterebbe dal 16% nel 2020 al 77% entro il 2050. L’approvvigionamento totale di energia primaria rimarrebbe stabile grazie all’aumento dell’efficienza energetica e alla crescita delle energie rinnovabili. Le energie rinnovabili aumenterebbero in tutti i settori di utilizzo finale, mentre un alto tasso di elettrificazione in settori come i trasporti e gli edifici richiederebbe un aumento di dodici volte della capacità di elettricità rinnovabile entro il 2050, rispetto ai livelli del 2020. A livello globale, le aggiunte annuali di capacità di energia rinnovabile dovrebbero raggiungere una media di 1.066 GW all’anno dal 2023 al 2050.
L’elettricità
A questo punto il principale vettore energetico sarebbe l’elettrico, rappresentando oltre il 50% del consumo totale di energia finale entro il 2050 nello scenario di 1,5°C. La diffusione dell’energia rinnovabile, il miglioramento dell’efficienza energetica e l’elettrificazione dei settori di utilizzo finale contribuirebbero a questo cambiamento. Inoltre, la moderna biomassa e l’idrogeno svolgerebbero entrambi un ruolo più significativo, raggiungendo rispettivamente il 16% e il 14% del consumo totale di energia finale entro il 2050. L’idrogeno si baserebbe su fonti rinnovabili e avrebbe un grande impatto ai fini della decarbonizzazione, contribuendo anche a ridurre il consumo di energia.
Il gap
Ma come abbiamo detto ancora siamo lontani da proiezioni così oculate entro il 2050, per le quali sarebbero necessari 150 trilioni di dollari cumulativi, con una media di oltre 5 trilioni di dollari in termini annuali. Sebbene gli investimenti globali in tutte le tecnologie di transizione energetica abbiano raggiunto un livello record di 1,3 trilioni di dollari nel 2022, gli investimenti annuali devono più che quadruplicarsi per rimanere sul percorso di 1,5°C. Rispetto allo scenario energetico pianificato, in cui è richiesto un investimento cumulativo di 103 trilioni di dollari, entro il 2050 sono necessari ulteriori 47 trilioni di investimenti cumulativi per rimanere sul percorso di 1,5°C. Circa 1 trilione di dollari di investimenti annuali in tecnologie basate sui combustibili fossili attualmente previsti nel Planned Energy Scenario dovrebbero quindi essere reindirizzati verso tecnologie e infrastrutture per la transizione energetica.
Ancora più fosco è lo scenario se appunto ci ricordiamo che gli investimenti green non sono omogenei e coordinati in tutte le zone del mondo, evidenziando la sostanziale inefficacia delle conferenze globali sul clima. Peraltro, emerge come dell’85% degli investimenti globali in energie rinnovabili abbia beneficiato meno del 50% della popolazione mondiale e l’Africa abbia rappresentato solo l’1% della capacità aggiuntiva nel 2022. Gli investimenti in soluzioni di energia rinnovabile off-grid nel 2021 ammontavano a 0,5 miliardi di dollari, ben al di sotto dei 15 miliardi di dollari necessari ogni anno fino al 2030. A ciò si aggiunge l’apporto ancora sotto i livelli adeguati del settore pubblico, siccome il 75% degli investimenti globali nelle rinnovabili dal 2013 al 2020 proveniva dal settore privato. Il pubblico comunque è più presente sul geotermico e sull’idroelettrico. Dunque non ci sarebbe da stupirsi se l’obiettivo del 2030 dovesse essere disatteso. Ma almeno è importante continuare a limitare i danni.