Ambiente
Cambiamento climatico. Nel mondo destra e sinistra si scontrano
Di Giampiero Cinelli
Il premier inglese Rishi Sunak ha certificato l’avvio di 100 nuove trivellazioni per la ricerca di gas e petrolio nel mare del Nord. Rappresenta un cambio di strategia in vista delle prossime elezioni legislative, con l’impegno ad arrivare a zero emissioni nette nel Regno Unito entro il 2030, in modo «proporzionato». Una visione che da molti è stata definita, per usare un eufemismo, contraddittoria.
L’approccio in realtà offre l’occasione per riflettere sul fatto che anche altri partiti conservatori, dall’Europa agli Usa (dove si vota alla fine dell’anno prossimo) hanno in mente programmi del genere. Insomma, ci si domanda da osservatori politici, se sia sempre più chiara l’esistenza di una netta polarizzazione sul cambiamento climatico, tra destra e sinistra, a livello internazionale. C’è chi addirittura parla di “coordinamento globale di politica climatica” per quanto riguarda la destra conservatrice. Tuttavia, a questo punto, lo stesso si potrebbe dire per i partiti progressisti.
Sembra rilevabile un po’ da tutti che le sinistre su scala mondiale abbiano esplicitamente fatto proprio il proposito di modificare il modello di sviluppo abbattendo le emissioni di carbonio, mentre le destre da più parti cercano di dare al problema dei confini diversi. Si può pensare, e spesso lo si esprime anche mediaticamente, che ciò sia dovuto, da una parte, alla storica vocazione naturalista dell’area progressista, e dall’altra parte a una consolidata vicinanza agli interessi delle grandi aziende, anche quelle energetiche. Ma ciò appare semplicistico e anche ingiurioso. Vero infatti che tutti i principali partiti che guidano nazioni importanti, siano essi di destra o di sinistra, hanno rapporti diretti col mondo produttivo. Piuttosto, c’è una certa politica che manifesta timore e disagio nei confronti di narrazioni apocalittiche che invocano soluzioni repentine e drastiche, credendo che ciò possa essere controproducente. A destra, ad esempio, circola da molto il pensiero che non si possano abbandonare del tutto i combustibili fossili e in fretta, mentre la sinistra si mostra ogni giorno più convinta della necessità di fare presto e in grande, fiduciosi dei risultati che i cambiamenti genereranno.
La narrazione pro-ambientalista è molto seducente e si è guadagnata una forte reputazione negli ambienti accademici e mediatici. Ecco perché chi mette i bastoni fra le ruote viene percepito dall’opinione pubblica come un personaggio negativo. La dialettica tra due modi di affrontare il cambiamento climatico però si farà sempre più serrata: negli Stati Uniti i repubblicani hanno adottato un elaborato e dettagliato programma per demolire gli sforzi del governo federale nel contrastare il cambiamento climatico e disinnescare il percorso definito da Biden. In questo modo si vuole apertamente andare contro l‘Inflation Reduction Act (IRA) dell’amministrazione democratica, il più grande piano d’investimento nella decarbonizzazione mai messo a punto. Il manuale di 920 pagine prodotto dalla Heritage Foundation, un Think Tank vicino a Trump, parla della futura gestione delle politiche ambientali, suggerendo di bloccare l’espansione della rete elettrica da fonti eolico e solare, tagliare i fondi per l’Ufficio di Giustizia Ambientale dell’Environmental protection agency (Epa), chiudere gli uffici per le energie rinnovabili del Dipartimento dell’energia (Doe), impedire ai singoli Stati di adottare gli standard di inquinamento automobilistico della California e delegare il controllo a funzionari statali, di nomina repubblicana. Il documento illustra gli stratagemmi per impantanare le decisioni, con la motivazione di fondo che alcuni settori non possono andare incontro a una regolamentazione troppo stringente. Il documento sarebbe immediatamente implementato nel caso Trump dovesse tornare alla Casa Bianca, orientativamente dal 2025.
Da una prospettiva più critica, viene da affermare che questa non sarebbe più normale dialettica tra parti politiche, ma vero e proprio segno di “negazionismo climatico”. La categoria dei negazionisti esiste in senso proprio? Forse è più folta la categoria di chi dice che la situazione del Pianeta Terra non sia responsabilità dell’uomo. Ciò però determina una serie di comportamenti e di decisioni istituzionali, molto diverse da quelle ad esempio improntate dalla Commissione Europea con l’Agenda 2030. Va sottolineato che, comunque, la maggioranza dei Paesi leader nello scacchiere internazionale, inclusa la Cina, sembrano andare in una direzione ecologista. E per ora i Rishi Sunak, i Boris Johnson e i Viktor Orban non dovrebbero influenzare troppo la traiettoria. Se però dovesse rivincere Donald Trump, gli equilibri andranno riconsiderati.