Economia
L’inflazione non lascia la presa. Estate calda e inverno “da brividi”
Di Giampiero Cinelli
Dopo anni che l’inflazione non si vedeva, le economie occidentali tornano a farci i conti. E stavolta sono molto complicati. Siamo infatti davanti a un fenomeno inaspettato, sebbene da almeno otto anni la Banca Centrale Europea cercasse di far alzare i prezzi attraverso lo stimolo monetario, senza riuscirci. Una sorpresa perché si tratta sostanzialmente di un aumento dei prezzi che non dipende da un maggiore potere d’acquisto diffuso, i salari italiani continuano a ristagnare, ma dall’aumento dei costi. In particolare quelli dell’energia come gas e petrolio, che si sono velocemente ripercossi sui prodotti industriali, in particolare quelli alimentari. Insomma una ben nota “inflazione importata”, cioè derivante dall’acquisto di materie prime che l’Italia importa dall’estero. Ma se questo fenomeno è già conosciuto, perché allora abbiamo detto all’inizio che era inaspettato? Non solo perché la Bce ha ammesso, tramite la stessa Christine Lagarde, che l’istituto aveva sottovalutato il possibile balzo delle materie prime, ma più precisamente perché ci si interroga ancora sulla corretta composizione di questo aumento dei costi. Sicuramente c’è l’importante componente del trasporto, ma poi altre variabili vanno indagate. Anche tenendo conto delle dinamiche squilibrate che erano già in essere nella fase di uscita dal picco pandemico, quando i sistemi stavano ripartendo e il petrolio è divenuto assai costoso, ora il prezzo al barile è sceso, ma dal distributore la benzina è ancora altissima. Mentre si registravano anche carenze di altri beni primari e di semiconduttori. Una situazione che faceva pensare a una forte contesa per le materie prime e il loro stoccaggio che sembrava aver vinto la Cina. Uno scenario che ha influito sui prezzi.
Ebbene, alla luce di ciò, si può immaginare anche un tipo di inflazione legata ai margini di profitto. Cioè un livello dei prezzi di cui le aziende non sono soltanto vittime ma anche complici, siccome hanno alzato i margini per la paura di non averne abbastanza, pensando ancora alla confusione post Covid. All’interno del contesto, gli economisti possono anche dire che un’inflazione così è destinata a scendere. Al netto dei fenomeni speculativi di borsa a cui è soggetta anche l’energia (vedi Amsterdam). Eppure, primo non è facile fare previsioni in merito, secondo: ci sono altri fattori di instabilità che rendono questi pronostici azzardati, su tutti la guerra in Ucraina e le tensioni con Putin sul gasdotto Nord Stream. Oltre all’incognita dei rigassificatori.
L’inflazione nell’eurozona sale. A giugno è stata del 9,6%, dall’8,8% di maggio. Un anno prima era del 2,2%. In Italia, secondo le stime dell’Istat, lo scorso mese si è attestata all’8%, rispetto al 6,8% di maggio. Un numero che non si vedeva dal 1986, quando fu pari a 8,2%. Le tensioni inflazionistiche continuano a propagarsi dai beni energetici, la cui crescita passa da +42,6% di maggio a +48,7%, in particolare i carburanti da +32,9% a +39,9%. Gli energetici regolamentati continuano a registrare una crescita molto elevata ma stabile a +64,3%. I beni alimentari, i servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona passano da +4,4% a +5%. I servizi relativi ai trasporti da +6,0% a +7,2%. Sono aumenti che non si vedevano rispettivamente da agosto 1996 e da giugno 1996. L’inflazione acquisita per il 2022 è pari a +6,4% per l’indice generale e a +2,9% per la componente di fondo, spiega Istat. Anche il turismo non va controcorrente: una vacanza di 10 giorni costerà circa il 20% in più rispetto al 2021, con una quota pro capite aggiornata a 1.195 euro. Il mare ha ormai l’oro dentro. Stimato del 16,8% il rincaro. Aumenta di meno la montagna al 7,8%. E andare all’estero non è la soluzione: +124% i voli internazionali.
Secondo il Codacons i prezzi al dettaglio «sono destinati a salire ancora nelle prossime settimane, come conseguenza dell’escalation dei carburanti che registrano livelli altissimi alla pompa e delle evidenti speculazioni sui listini, e l’inflazione è destinata a raggiungere quota 10%». Per le famiglie il tasso di inflazione all’8% si traduce, a parità di consumi, in una maggiore spesa pari a +2.457 euro annui per la famiglia “tipo”, che raggiungono +3.192 euro annui per un nucleo con due figli. Chiaramente cifre proibitive per larghe fasce di popolazione per le quali interventi perentori da parte delle istituzioni sono indispensabili. Il governo dimissionario aveva varato decreti sul caro bollette e nella gestione provvisoria sta già ragionando di abbattere l’iva sui principali prodotti alimentari. Il resto, lo faranno le politiche finanziarie istituzionali e individuali. Anche con il rischio di drenare liquidità e scoraggiare gli investimenti in un’economia che non può smettere ora di crescere e che non si è surriscaldata perché la gente guadagna di più.