Circa dieci minuti nell’aula della Camera. Un lungo applauso (di centrosinistra e governo) e la sua commozione. «Anche il cuore dei banchieri batte», dice. Poi Draghi comunica le dimissioni, che poco dopo va a presentare a Matterella. Il quale stavolta le accoglie. Successivamente Mario Draghi è andato dalla presidentessa del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e dal presidente della Camera Roberto Fico. Nel pomeriggio i presidenti delle due aule sono attesi al Quirinale. Alle 16.30 Casellati, alle 17 Fico. Insieme al Capo dello Stato valuteranno l’opzione dello scioglimento delle camere. Intanto il governo resta in carica per il disbrigo degli affari correnti, come comunicato anche dalla Presidenza della Repubblica.
Interessante sarà sapere ora quali provvedimenti rientreranno negli affari correnti, soprattutto se saranno compresi i decreti attuativi delle iniziative principali degli ultimi tempi, tra cui le misure di sostegno all’economia, contro il caro bollette, fino alle cartelle esattoriali e al bonus 110% rimasto incagliato. Faccende molto importanti, la cui urgenza è stata sottolineata anche da Draghi nel suo discorso di ieri. Ma, si capisce, tutto ciò non vale la prosecuzione di un’esperienza che alla luce dei fatti è stata giudicata non più sostenibile. Nodo cruciale poi ovviamente lo scioglimento o meno delle camere. Se si sciolgono si andrà a elezioni a settembre o ottobre (si parla del 18 settembre). Se non si sciolgono l’ipotesi è che venga dato un mandato esplorativo per formare una nuova maggioranza tutta di centrodestra. Non escluso sempre con Draghi al timone (più che al comando). Ma se tornasse Draghi Fratelli D’Italia ci starebbe? Improbabile. Anche perché la Meloni si sta già attivando per una futura potenziale squadra di governo con lei primo ministro. E a quanto pare nel centrodestra nessuno ha battuto ciglio su questo scenario.
Resta comunque l’amarezza di ieri, al di là di quale sia la propria parte politica. Per l’immagine di disunione e caos che è balzata agli occhi di tutti. E ancora di più se partiamo da una settimana fa. Con la crisi aperta dai grillini che tuttavia non escono formalmente dall’esecutivo, solo dall’aula nel primo voto di fiducia. E i grillini stessi che invece ieri non votano ma restano, in parte, in aula per consentire il numero legale e sperare così in dimissioni immediate. Le dimissioni sono comunque arrivate ufficialmente questa mattina. Anche perché Draghi non ha più l’appoggio neppure del centrodestra. Inizialmente sembrava che l’esecutivo dovesse salvarsi proprio grazie a Salvini e Berlusconi.
Poi a Palazzo Madama la Lega specifica: o rimpasto o elezioni. Infine esce dall’aula non partecipando alla votazione. Pure qui concretamente non significa né un no né un sì. Ma l’effetto sono le dimissioni del capo del governo. E sarebbe stucchevole se in seguito vedessimo riformarsi un governo con la Lega e Draghi, nonostante in aula i rappresentanti del Carroccio abbiano detto che la replica di Draghi durante la discussione è stata deludente perché non aveva risposte sulle partite iva. Molti hanno commentato, infatti, che la rottura c’è stata perchè Draghi sembra più in linea con il centrosinistra. Se n’è accorto Maurizio Gasparri, che ieri ha sottolineato al premier che Forza Italia è liberale, ma vuole una concorrenza più giusta, a parità di condizioni.
Insomma vorrei ma non posso. E me ne vado. Forse no. Invece sì. E intanto il Paese pretende risposte rapide sulla crisi energetica di là da venire, la ben nota e ora aggravata crisi economica e la politica estera.