Economia
Crisi di governo e mercati. Matrimonio difficile
Di Giuliana Mastri
Cosa penseranno i mercati? Spesso è riecheggiata questa frase negli ultimi anni di vita pubblica. I mercati che pensano. E agiscono anche. Così funziona in un modello globalizzato e finanziarizzato, da cui abbiamo imparato che l’economia ha il primato sulla politica. E allora ogni crisi di governo è una prova per borse e conti statali. Ieri, il giorno dello strappo definitivo tra Movimento 5 Stelle e Mario Draghi, con i pentastellati che non hanno votato la fiducia in Senato sul Decreto Aiuti, Piazza Affari ha chiuso in negativo. FTSE Mib a -3,44%, 20.554,33 punti. L’indice FTSE All Share è in brusco calo con una perdita del 3,18% a 22.575,06 punti. Parigi -1,41%, Londra -1,63%, Madrid -1,87%. Sempre ieri lo spread Btp-Bund è schizzato a 223,2 punti base, con il rendimento del titolo italiano decennale che sale al 3,41%. L’effetto Draghi? Basta Giuseppe Conte ad annullarlo. Intanto il 14 luglio le scosse anche a Wall Street, ma molto meno legate alla situazione italiana. Il Dow Jones in forte contrazione con un ribasso a 30.309,89 punti, -1,5%. Il Nasdaq è in perdita a 11.600,63 punti, -1,09%. Dollaro e euro sulla parità.
Dopo gli sviluppi della serata, stamattina le borse si sono riprese. FTSE Mib +1,12%, spread a 223,1 punti (-0,17%. Ma comunque un livello preoccupante), l’euro guadagna sul dollaro uno 0,27% e vale 1,004 Usd, sostanzialmente ancora in parità. Un euro vale 0,84 sterline (+0,18%). Sale di poco il Brent. Un barile costa 99,72 dollari. WTI a 96,01 dollari (dati aggiornati alle 12:16).
Le borse oscillano e molte volte una giornata non è uguale all’altra, specialmente negli ultimi anni di particolare volatilità, e anche in questa fattispecie, caratterizzata dal cambio di politica monetaria della Fed e della Bce. Ma i parametri che ora preoccupano maggiormente sono quello dello spread e del cambio euro/dollaro. Lo spread più sale più mette a rischio i bilanci dello Stato, a seguito dell’aumento della spesa per interessi. Un onere che, se anche viene sostenuto (e fin ora lo Stato italiano ha sempre ripagato i suoi debiti), va comunque a intaccare lo spazio di risorse relative a investimenti, welfare e taglio delle tasse. Anche perché, in genere i denari (virtuali) usati per rimborsare i titoli vengono prelevati dalle tasse. Più interessi, più tasse quindi. E se i possessori del debito sono cittadini italiani, poco male perché è solo una sorta di partita di giro e i soldi rimangono nel nostro sistema. Diverso il discorso se quei soldi vanno all’estero ad un compratore straniero. L’Italia ha ad oggi tra le più alte spese per interessi sul debito. Ma anche, lo dicono i dati, uno dei bilanci più virtuosi dal 1991 al 2020, prima della caduta dovuta alla pandemia, con il saldo primario, cioè prima del pagamento degli interessi, sempre in avanzo. Questo anche per potersi assicurare il pagamento di quest’ultimi. Ma così sottraendo liquidità alla nostra economia e al tessuto sociale. Spesso lo spread ha ondeggiato anche durante il governo Draghi, a dimostrazione del fatto che anche una figura così autorevole, ben accolta dall’Europa, abbia difficoltà a fronteggiare dinamiche internazionali e shock esterni molto complessi. Tuttavia forse solo Draghi può guidare l’Italia in questa fase e proprio questo hanno dichiarato apertamente i colleghi di Bruxelles. Del resto c’è da mettere a terra il Pnrr e chiudere questioni importanti come quelle di Alitalia, la rete unica del 5G e Monte dei Paschi.
Sul fronte monetario, invece, una parità euro/dollaro è al momento abbastanza un’incognita, anche perché mai sperimentata. Con l’euro costantemente sopra il biglietto verde. Di sicuro un euro debole agevola le esportazioni, su cui l’Italia già va molto bene e addirittura meglio della Germania ultimamente, che ha registrato il suo primo deficit commerciale da circa trent’anni. Però è anche vero che un dollaro più competitivo sospinge l’economia americana, già di per sé assai competitiva. Più di quella nostrana. E i produttori italiani pagheranno di più i materiali che servono per fare le merci da esportare. Bisognerà vedere quale sarà il saldo complessivo di questa situazione. Sperando che la ben nota tendenza degli americani a importare più di quanto esportano (per mantenere il dominio del dollaro negli scambi internazionali e sostenere le altre valute subordinate al dollaro) non muti. A maggior ragione adesso che le merci europee costeranno meno.