Ambiente
Centinaio: «Non possiamo appaltare ad altri la produzione agroalimentare europea»
Di Daniele Capezzone
La filiera agricola italiana arranca tra siccità e inflazione alimentare. Ma quali sono le misure messe in campo dal governo? Questi i temi discussi nell’intervista con il senatore Gian Marco Centinaio, già ministro, esponente di punta della Lega e attualmente sottosegretario alle politiche agricole, alimentari e forestali.
Siamo dentro una crisi strisciante, i cinici potrebbero pensare che siamo dentro una sceneggiata, in cui un partito in difficoltà, il M5S, cerca di alzare un po’ il prezzo, se riceve delle concessioni la storia finisce lì. Ma c’è chi si potrebbe allertare per evitare che la situazione sfugga di mano. Come stanno le cose?
«Concordo con la sua descrizione della situazione. Il M5S, dopo la scissione con Di Maio, si trova in estrema difficoltà. Ci stiamo avvicinando alle prossime elezioni e quindi è naturale che ci sia un po’ di fermento. Allo stesso tempo, la sensazione percepita da tutti, sembra che ci siano visioni differenti tra il capo politico del Movimento, Conte, e i grillini che stanno al governo. Probabilmente c’è un corto circuito tra il partito e la parte governista».
Pensando all’Italia lei in questi giorni ha detto che il Presidente del Consiglio dovrebbe prendere un’iniziativa, dovrebbe rivolgersi a tutti i partiti e ai leader per trovare un percorso ordinato da qui a fine legislatura con un’agenda condivisa, è così?
«Sono contento che dopo aver espresso il mio pensiero siano usciti dei leader che si trovano nelle retrovie rispetto a quelli politici. Credo di aver detto quello che pensano gli italiani. Stiamo assistendo quotidianamente a delle interlocuzioni uniche tra i leader e il Presidente del Consiglio, ognuno pone sul tavolo esigenze e sensibilità differenti. Ciò che, secondo me, deve servire da qui a fine legislatura per evitare fraintendimenti è la chiamata del Presidente del Consiglio per far sedere tutti attorno a un tavolo. Sappiamo che Draghi ha, nel bene o nel male, un altissimo gradimento soprattutto a livello internazionale. Bisogna fare un punto della situazione su aspetti positivi e non per poter condividere una linea da qui a fine legislatura. Altrimenti sarà inevitabile assistere a delle distinzioni che porteranno a venir meno il lavoro di governo; una cosa che in questo momento non conviene a nessuno».
Le pongo uno scenario che rassicurerebbe molto gli osservatori mainstream: un cittadino, contribuente e consumatore che paga molto sia di tasse sia di rincari, lo stato che per paradosso incassa di più con l’impennata dell’iva. A fronte di questi soldi in più da una parte i 5stelle e dall’altra i sindacati apparecchiano clamorosi piani di spesa a carico di altri. Il governo glielo concede per tenersi buoni i sindacati e per ricomprarsi i grillini. Se finisce così io le chiedo e il centro destra, il settore privato, gli autonomi e le partite iva?
«E chi paga? Io sono convinto che non dobbiamo fare concessioni per accontentare qualcuno. Questo è un governo diverso rispetto agli altri; la politica aveva promesso a suo tempo al Presidente della Repubblica e al paese di fare dei passi indietro. La Lega e il PD non hanno niente a che spartire, siamo colleghi nello stesso governo per portare a casa determinati risultati ossia portare questo paese fuori da una situazione che un anno fa era critica e adesso è drammatica. Se facciamo le concessioni per accontentare delle parti senza degli interventi strutturati e strutturali, nulla sarà servito e la pagheranno i nostri figli».
Guardando la situazione energetica: tra gli stoccaggi già avvenuti, la grande incognita di cosa avverrà il 21 luglio per capire verrà mostrato il ricatto energetico nella sua totalità, l’acquisto di quantità aggiuntive di gas da altri paesi, a che punto siamo? Lei pensa che sia arrivato il momento di fare un discorso di verità agli italiani ossia il tema non è quanti minuti si sta sotto la doccia, ma c’è un problema più serio che riguarda il mondo produttivo?
«Io penso di si. Nei giorni scorsi sono stato in alcune grandi aziende dell’agroalimentare che mi hanno mostrato i conti soprattutto quelli relativi alle spese legate alla produzione (energia elettrica e gas), in alcuni casi sono quadruplicate rispetto all’anno scorso. Parliamo di speculazione, di mancanza di materie prime, di tutta una serie di problematiche che ci sono e si discutono da mesi. Quando arriveremo all’inverno ci sarà bisogno di alcuni combustibili e in questo momento dobbiamo fare l’operazione verità, ma soprattutto l’operazione “dove andiamo a prendere le cose”. Questo bisogna dirlo agli italiani ma soprattutto alle aziende per farle rimanere competitive e per permettergli di fare dei piani anche strategici a breve, medio e lungo termine».
Sperando che in termini di approvvigionamento si mettano delle pezze rassicuranti, ma in termini di costi? Perché fino ad ora siamo andati avanti con dei costosi cerottoni messi dal governo, solo l’ultima tranche 6mld e mezzo solo per i 200euro. Come si fa?
«Credo che qualcuno ci abbia speculato e non poco. Cominciamo a ragionare bene anche a livello europeo su chi ha speculato anche nei momenti in cui poteva non farlo. Perché poi è facile dire che è scoppiata la guerra, ma qui parliamo di chi ha speculato pre-guerra. Il lavoro che deve essere fatto per reperire i fondi è soprattutto partendo da lì, magari non solo da lì, e magari cercare di capire e trovare dei fornitori, cosa che il governo sta già facendo, alternativi, per avere una visione a medio e lungo termine, ma a breve».
Il modo più saggio per lasciare più soldi nelle tasche delle persone e contrastare il costo della vita, il costo dell’energia e i rincari alimentari è quello di abbassare le tasse. Ma dove si trovano i soldi? Nell’ultima legge di bilancio sono stati stanziati 80mld fino al 2029 per il reddito di cittadinanza…
«Penso che il reddito di cittadinanza, a queste condizioni, sia veramente inutile. Pensare di poter mettere più soldi nelle tasche degli italiani significa da un lato permettere un risparmio, ma dall’altro una maggiore capacità di spesa che vale a dire più iva, più movimento, più aziende che poi lavorano e tutto un paese che si muove. Quindi quando parliamo di diminuzione delle tasse pensiamo soprattutto al cuneo fiscale dove i fondi li possiamo anche trovare. Se noi iniziamo a pensare a quanti bonus ci sono nel nostro paese e a quanti di questi potenzialmente avrebbe diritto il contribuente, se noi li prendiamo e li trasformiamo in taglio delle tasse vero ne risparmiamo di soldi».
Siccità, come siamo messi? E che valutazione fa lei rispetto ai tempi necessari per evitare questo cancro della dispersione nella nostra rete?
«Non me ne voglia il resto dell’Italia, ma chi la sta pagando maggiormente è il nord. Semplicemente perché il nord non è abituato a periodi di siccità e soprattutto perché l’inverno 2021/2022 al sud è stato molto piovoso. Se mettiamo a paragone la media delle precipitazioni a centro sud e quelle del nord soprattutto nella zona delle Alpi c’è una disparità pazzesca. Quindi la situazione di crisi la sta vivendo maggiormente la Pianura padana perché ha anche delle coltivazioni che necessitano di più acqua. Non abbiamo molto tempo perché nel mio territorio, nella provincia di Pavia, alcuni produttori di riso hanno stimato di produrre meno del 70% rispetto all’anno scorso. Quindi stiamo cercando di convincere i gestori concessionari delle dighe e degli invasi a rilasciare l’acqua per quanto possibile, evitando il blocco della produzione dell’energia idroelettrica. Ma si tratta di un tampone che può durare fino a fine mese. Contemporaneamente come governo abbiamo chiesto alle regioni di chiederci lo stato di calamità naturale, cosa che accade. Vediamo cosa si riuscirà a fare e quali saranno le coltivazioni che necessiteranno di più interventi».
Alla retorica dell’acqua pubblica bisogna accostare qualcuno che faccia degli investimenti, altrimenti c’è una dispersione dal 50 al 70%…
«Molta acqua viene persa, ma sappiamo che poi torna in falda ossia nel ciclo produttivo. Ma ragionando a lungo termine dobbiamo andare a recuperare quello che non è stato fatto in passato a causa dell’eccesso di acqua in Pianura Padana. Bisogna lavorare sulla creazione di invasi, sono decenni che l’Italia non fa un piano in merito che riguardi tutto il territorio. Facendo un ragionamento prettamente agricolo, sono anni che stiamo lavorando per mantenere e migliorare tutta quella che è la rete idrica legata all’agricoltura. Nel Pnrr sono stanziati 880mln, ma oltre ai fondi bisogna ragionare sull’acqua che arriva dai depuratori, utilizzabile in agricoltura di cui non usufruiamo, inoltre sarebbe utile guardare a quei paesi che utilizzano i desalinizzatori, soprattutto nelle zone costiere dove c’è agricoltura di altissimo livello, penso in modo particolare al centro sud».
La Commissione europea ha sentenziato sui prodotti fitosanitari chiedendone un abbattimento velocissimo dell’utilizzo di questi prodotti. Che si debba andare a scendere non c’è dubbio, ma imporre una cosa di questo genere significa costi in più e difficoltà temo non superabili, come la vede lei?
«Io sono molto critico nei confronti della modalità con cui è stata impostata la legislatura europea in relazione all’agricoltura. Parto da un presupposto, quando la Presidente von der Leyen ha fatto il suo primo discorso al Parlamento europeo la parola agricoltura non è stata mai nominata. Ha fatto riferimento al rispetto e alla tutela dell’ambiente e del consumatore. Un discorso giusto, ma questo parte dalla tutela del territorio e quindi dall’agricoltura. E lo abbiamo visto adesso in questa situazione di guerra dove noi avevamo appaltato la produzione di grano e di altri prodotti e, secondo me, non possiamo appaltare ad altri la produzione agroalimentare europea. Quando si parla di autosussistenza italiana io credo che bisogna guardare verso una realtà europea, non solo nazionale. Perché abbiamo paesi con una grandissima tradizione agricola, non solo l’Italia. Ma davanti a questo si pone la narrativa degli agricoltori che inquinano, la zootecnia che nuoce più dell’esplosione della centrale di Chernobyl, la tutela del cittadino dai prodotti fitosanitari – sapendo che senza questi ritorniamo all’agricoltura ottocentesca-, l’impossibilità di utilizzare prodotti derivanti dalla ricerca scientifica, la necessità di più prodotti biologici – consapevoli che bisogna produrre anche quantità oltre che quantità e a prezzi ragionevoli-. Se si mettono tutti questi vincoli all’agricoltura europea succede che gli agricoltori diminuiscono, perché non conviene più produrre e il livello medio del prodotto aumenta. Ma nel frattempo succede che siamo costretti ad andare ad acquistare all’estero. Mi chiedo se venga utilizzato il principio della reciprocità, perché se acquisto il riso dalla Cambogia o dalla Birmania mi domando se su quel territorio vengano utilizzate le stesse metodologie e gli stessi prodotti fitosanitari che non vengono utilizzati in Italia, o con la stessa tutela del lavoro che abbiamo in Italia. Io preferisco un Europa che può vivere con i propri prodotti, che sono di qualità, cercando però di produrlo a prezzi competitivi. Così rischiamo di avere un Europa che comunica poco in campo agroalimentare».