Innovazione

Young Innovators Business Forum, la resilienza dell’innovazione in Italia

01
Luglio 2022
Di Daniele Bernardi

Lo scorso 27 giugno, presso la sede della Borsa italiana a Milano in Piazza Affari, si è tenuta la prima edizione del Young Innovators Business Forum. L’iniziativa è organizzata da ANGI, l’associazione nazionale giovani innovatori, con l’intento di connettere istituzioni e imprese e facilitare quindi l’emergere di nuove realtà imprenditoriali e innovative.  

Roberto Baldassarri, del Laboratorio2101 (centro di ricercare interno ad ANGI), intervenuto all’inizio dell’evento, ha spiegato: «Abbiamo effettuato 1500 interviste, 1000 per i maggiorenni e 500 per i minorenni», quindi, rivolgendosi alle istituzioni: «Non parlate ai padri dei loro figli, parlate direttamente ai figli, perché dalla ricerca emerge che sono pronti: sanno quali sono le priorità, sanno quali sono i temi, accettano la scommessa di rischiare il loro futuro assieme a noi».

La risposta delle istituzioni non è mancata: «Tutte quelle rotture, spesso sognate anche dalla stampa, tra generazioni vanno dimenticate, non si vince senza un’alleanza tra quelli che stanno lavorando oggi, quelli che lavoreranno domani e quelli che dal passato hanno l’esperienza per guidarci. Questa è una sfida che si vince tutti insieme». La risposta di Francesco Tufarelli, direttore generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Fare rete è stato uno dei concetti principali attorno al quale ha ruotato gran parte dell’evento: «Bisogna fare sistema», un tavolo di lavoro in cui «si faccia fattor comune di competenze ed esperienze. C’è una parte di città da includere» sono state le parole dell’assessore milanese Laila Pavone, richiamando anche l’iniziativa del sindaco Sala che tempo fa decise di istituire un board sull’Open Innovation unendo soggetti esterni a uomini e donne dell’amministrazione.

Come si fa spesso ormai, la palla è stata poi lanciata al PNRR (panacea di tutti i problemi degli italiani). La Ministra per le politiche giovanili Fabiana Dadone ha spiegato che parte dei fondi del PNRR verrà appunto spesa nei comuni per fare rete e creare hub sui territori in grado di monitorare i bisogni in termini di formazione e mano d’opera richieste, costituiranno degli incubatori per le startup emergenti. Parlando ai giovani, la Ministra ha poi chiesto di lavorare maggiormente sulle proprie competenze digitali, spesso circoscritte solo ai social o all’aspetto più ludico della tecnologia e sempre meno al potenziale lavorativo.

La formazione è ovviamente un tema cardine quando si parla di innovazione. Secondo William Nonnis, Full Stack and Blockchain Developer per ENEA (l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile): «Bisogna iniziare dalle scuole perché oggi nelle scuole l’istruzione tecnico-scientifica è zero. Non si può pensare che i ragazzi si inseriscano nel mondo del lavoro se la scuola purtroppo non dà loro lo strumento. Per dare questo strumento servono i docenti e quindi chi forma i formatori. Ci sono delle falle. Per arrivare a usare le tecnologie disruptive: blockchain, IoT, IA, cybersecurity, serve che lo stato accompagni gli individui in questa transizione. In Francia, ogni quattro anni viene effettuato un restyling della formazione, in Italia non so da quanto siamo fermi».

Posizione in parte condivisa da Giampiero Ruggero del CNR, secondo cui in Italia manca quel passaggio per cui dall’innovazione si riesca a generare concretamente progresso e sviluppo per la società. Nonostante ciò, Ruggero constata che «assistiamo a un paradosso: nonostante le difficoltà, i nostri ricercatori pubblicano delle ricerche che a livello mondiale eccellono, nel 2020 i nostri ricercatori sono stati i più citati».

In sostanza, l’innovazione in Italia non mancherebbe affatto, ma mancano gli strumenti per implementarla e consolidarne gli effetti nella nostra società, manca il sostegno del settore pubblico, mancano gli investimenti, manca talvolta anche una cultura che concepisca il fallimento non come il termine ultimo di un percorso ma la fase di transito tra uno step e l’altro.

L’altro aspetto spesso connesso all’innovazione è la sostenibilità. Innoviamo per garantirci un futuro migliore. A tal proposito sono stati tanti gli interventi al forum: dall’A2A city plug, una colonnina elettrica più piccola, potente e (non guasta) anche bella esteticamente, al Sandstorm, robot per la pulizia e la manutenzione dei pannelli solari in grado di recuperare il 30% di perdite in termini di efficienza energetica.

I campi di applicazione del digitale a supporto dell’ambiente possono essere i più disparati. Mario Pezzotti, docente presso l’Università di Verona ha affermato il successo che la genetica sta riscontrando nel settore dell’agricoltura per contrastare i cambiamenti climatici, anzi, che ha sempre riscontrato: «Le piante che mangiamo oggi non esistevano in natura, sono il frutto di 10 mila anni di co-evoluzione che l’uomo ha realizzato. Oggi, conoscendo il genoma, possiamo definire quali sono i geni fondamentali affinché le piante possano resistere o adattarsi ai cambiamenti climatici e ai patogeni».

Un’attenzione particolare, dunque, va all’innovazione come capacità di adattamento al cambiamento, alle circostanze che mutano. «I cambiamenti climatici sono importanti ma ricordate che l’adattamento è altrettanto importante: non siamo inermi difronte a un clima che cambia, siamo in grado con la genetica e con le tecniche agronomiche di fronteggiare un clima che cambia» ha affermato Roberto Confalonieri, docente universitario presso UniMi.

L’adattamento non riguarda solo i cambiamenti climatici, ma tutto il settore dell’innovazione. Non si può intendere l’innovazione se prima non si conosce attentamente il contesto e i mutamenti che lo riguardano. È stata questa l’esperienza, raccontata da Federico Ferrazza, direttore di Wired Italia, quando, in piena crisi dell’editoria, ha deciso che direzione far prendere alla propria azienda. A tutti i ragazzi che intendono fare innovazione, consiglia di «non essere troppo affezionato alle proprie idee perché poi le condizioni ambientali cambiano e quindi un’idea avvincente nel giro di qualche anno potrebbe non esserlo più», d’altronde, come afferma Ferrazza: «Nessun animale ha deciso di evolversi, è che ti devi adattare all’ambiente circostante».