Sta passando relativamente sottotraccia il sempre più probabile ritorno in forze dello Stato all'interno di due settori-chiave dell’economia nazionale come il trasporto aereo e le telecomunicazioni, che negli ultimi anni sembravano essere stati definitivamente aperti alla gestione del capitale privato. L’assenza di alcun tipo di dibattito pubblico su quelle che a conti fatti prospettano una ri-nazionalizzazione di Alitalia e Telecom può essere il frutto di quel particolare equilibrio politico raggiunto in questo primo spezzone di XVIII Legislatura e per cui il governo Conte si trova a operare avendo di fatto incorporato ogni opposizione. Nonostante le liti e lo stato di tensione semi permanente su molteplici dossier, M5s e Lega continuano a occupare lo spazio che in altre circostanze sarebbe spettato alle forze di maggioranza e di opposizione, riassumendo in sé la dialettica politica e tagliando fuori tutti gli altri partiti. Sul futuro dell’ex compagnia di bandiera aerea italiana, protagonista di vicissitudini tribolate per almeno un ventennio e d’infruttuosi tentativi di salvataggio, il governo sembra intenzionato a portare il consorzio pubblico composto da Ferrovie, Tesoro e Poste a una quota di controllo del capitale di Alitalia superiore al 50%. Ai partner industriali di easyJet e Delta dovrebbe spettare il restante 40% assieme a pezzi importanti di business, con il vettore low cost inglese a gestire la rete del Nord facendo perno su Malpensa e il colosso dei cieli statunitense a gestire i voli a medio e lungo raggio da Fiumicino. Nel mentre, Cassa depositi e prestiti (Cdp) è pronta ad aumentare la sua partecipazione in Telecom fino al 10% del capitale dal 4,93% cui era giunta in aprile. L’ex monopolista delle telecomunicazioni è finito da tempo al centro di una dura lotta di potere fra i suoi investitori stranieri americani e francesi e il fatto che la terza istituzione bancaria italiana, peraltro controllata per oltre l’80% del Mef, si sia mossa giusto alla viglia della cruciale assemblea dei soci del 29 marzo è il segnale che ancora una volta Cdp si prepara a difendere le attività italiane nella società telefonica contro i soci francesi di Vivendi e al fianco del fondo americano Elliott. Questa mossa potrebbe poi spianare la strada allo scorporo della rete di Tim e alla fatidica fusione con Open Fiber, controllata a sua volta per il 50% da Enel – di cui lo Stato italiano è il principale azionista tramite il Mef.
È naturalmente prematuro emettere giudizi definitivi sulla bontà dei disegni industriali del governo Conte in Alitalia e Tim, così come stabilire se queste mosse prefigurino uno sterile ritorno al passato oppure il tentativo di riparare ai precedenti errori. È comunque un fatto che lo Stato francese detenga ancor oggi quote importanti nell’azionariato di Air France-Klm e che quello tedesco abbia la maggioranza relativa in Deutsche Telekom e il pacchetto di controllo. Al tempo delle tensioni diplomatiche con Parigi e dopo la firma del patto di Aquisgrana che ha inteso rilanciare il controllo franco-tedesco sul resto dell’Ue, la presenza in Alitalia degli americani di Delta Air Lines e degli inglesi di easyJet e quella del fondo Elliott in Tim è il segnale che il nostro Paese sta tornando a guardare a Stati Uniti e Regno Unito quali partner irrinunciabili del proprio futuro.
Alberto De Sanctis