Economia
Bankitalia, Paese forte ma occhio a conseguenze guerra e demografia
Di Giuliana Mastri
Stamane si è svolta a Palazzo Koch la relazione del Governatore di Bankitalia sull’anno 2021. Ignazio Visco si è concentrato sui capitoli della guerra, delle finanze pubbliche, dello scenario economico globale, la demografia e la situazione delle banche italiane.
CONTI PUBBLICI E INFLAZIONE
Secondo le stime di Bankitalia la guerra in Ucraina continuerà a creare tensioni sui prezzi, che per adesso non si sono ripercosse sui redditi degli italiani. Visco ha osservato come un aumento dei salari parametrato all’inflazione può innescare una spirale pericolosa di rincorsa tra prezzi e salari, quindi sarebbe più opportuno operare aumenti una tantum e aiuti mirati a specifiche voci di spesa. L’inflazione sarà elevata anche nel 2022, soprattutto per l’energia, e inizierà a calare nel 2023. Il Pil mondiale crescerà del 3,6% ma sarà inferiore alle attese.
Il debito pubblico è calato di più di quattro punti rispetto al 2020, a meno del 151%. Anche se restano alte le preoccupazioni per la sua mole complessiva. La sua solvibilità per ora è sorretta anche dall’avanzo nei conti verso l’estero (differenza entrate e uscite fra le nazioni) e dal surplus nelle esportazioni di beni e servizi. Tuttavia la crescita dei prezzi potrebbe addirittura essere sottostimata e, se la guerra si prolunga, le prospettive di crescita nel 2022-2023 potrebbero essere inferiori di due punti.
LA GLOBALIZZAZIONE
Il Governatore ha osservato le dinamiche economiche mondiali, notando come i recenti sviluppi potrebbero determinare un arretramento del processo di globalizzazione. L’apertura dei mercati globali ha fatto uscire dalla povertà ampie fasce della popolazione di tutto il mondo, con un successo considerevole che si registra soprattutto in Asia. Il prodotto mondiale è oggi due volte e mezzo il livello del 1990, quello pro capite è aumentato del 75 per cento, il commercio internazionale è più che quadruplicato.
Nonostante il contestuale incremento della popolazione mondiale – da 5 a 8 miliardi, concentrato per oltre il 90 per cento nelle economie emergenti e in via di sviluppo – il numero di persone in condizioni di povertà estrema è diminuito nettamente, con l’eccezione dell’Africa subsahariana, da quasi 2 miliardi a meno di 700 milioni. Nei prossimi trent’anni la popolazione africana è prevista aumentare di due miliardi. Un rimodellamento disordinato della globalizzazione, quindi, genererebbe problemi relativi ai flussi migratori e agli approvvigionamenti con correzioni dei prezzi non prevedibili. Pur riconoscendo che, parallelamente, molte zone del mondo più sviluppate hanno invece visto acuire le disuguaglianze, e non negando le distorsioni dovute alla catena globale del valore, è necessario approntare aggiustamenti progressivi e prudenti.
LA DEMOGRAFIA NAZIONALE
Il mondo del lavoro italiano risente dell’arcinoto gap nella produttività, ma anche di una tendenza demografica allarmante. Il superamento dei fattori che frenano la crescita della produttività è reso ancora più necessario dalle prospettive demografiche. Queste comportano una tendenziale riduzione della forza lavoro, che solo in parte potrà essere contrastata da un miglioramento del saldo migratorio e da un aumento della partecipazione al mercato del lavoro. Le più recenti proiezioni dell’Istat delineano nei prossimi 15 anni una diminuzione della popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni pari al 13% (circa 5 milioni di persone, di cui la metà nel Mezzogiorno); nella classe di età compresa tra i 24 e i 70 anni, utile a tenere conto dell’aumento prospettico degli anni di istruzione e della vita lavorativa, il calo è di poco inferiore a 3 milioni. Rispetto a Germania e Francia il differenziale dei tassi di attività maschile e femminile è più alto. Quasi il 20% contro il 10% della media europea.
LE IMPRESE, LE BANCHE
Le aziende italiane sono assolutamente in grado di competere sui mercati internazionali. Le eccellenze imprenditoriali non mancano. La produttività delle imprese italiane di dimensioni medio-grandi e la loro capacità di raggiungere i mercati internazionali sono comparabili con quelle delle imprese di analoga dimensione di Francia e Germania. Il loro peso sull’occupazione e sul valore aggiunto resta però insufficiente. In Italia le aziende con oltre 250 addetti, che hanno in media migliori risorse manageriali e organizzative e una maggiore capacità di sostenere i costi dell’innovazione e di adattarsi alla transizione verde, impiegano meno di un quarto degli occupati, circa la metà che in Francia e in Germania.
Le banche italiane hanno un esposizione contenuta nei confronti degli istituti di credito della Russia. La situazione patrimoniale è nel complesso non negativa. Alla fine dello scorso anno il rapporto tra il capitale di migliore qualità e le attività ponderate per il rischio (CET1 ratio) delle banche italiane, pari al 15,3 per cento, superava di 1,3 punti percentuali quello di due anni prima. L’incidenza dei crediti deteriorati sul totale dei prestiti era scesa, al netto delle rettifiche di valore, all’1,7 per cento, quasi la metà rispetto alla fine del 2019. Minore però la redditività del capitale rispetto ai principali competitor. Le imprese fanno minor ricorso al finanziamento sui mercati dei capitali e non sfondano gli strumenti di finanziamenti extrabancari e come quelli dei fondi comuni. Ne fanno poco ricorso anche le famiglie italiane. Cresce comunque la preferenza per i pagamenti contactless.