Politica
La riforma Cartabia riporta i giudici in piazza dopo 12 anni
Di Giampiero Cinelli
Oggi i magistrati scioperano in segno di protesta contro la Riforma Cartabia, approvata alla Camera il mese scorso e attesa al voto del Senato. Una decisione che stupisce e non si vedeva dal 2010, ma che la categoria ha reputato indispensabile per far sentire la propria voce e provare a migliorare il testo. «Lo abbiamo fatto di lunedì quando i calendari di udienza non sono intensi e per recare il minor disagio possibile – ha detto Giuseppe Santalucia presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) – Questa vuole essere una giornata di riflessione collettiva. In pochi ritengono che questo disegno di legge vada bene. Non è stata la dirigenza a decidere ma la stragrande maggioranza di magistrati ha deliberato per l’astensione. E poi la magistratura sta vivendo una stagione non felicissima».
I PUNTI E LE RAGIONI DELLA PROTESTA
La riforma del governo si articola su vari aspetti. Tra cui la molto dibattuta riforma del processo penale e del Csm (Consiglio superiore della Magistratura). Ma a far discutere è anche la ristrutturazione del rapporto tra politica e magistratura. I magistrati che hanno ricoperto cariche elettive o incarichi di governo con mandato di almeno un anno non potranno più tornare a svolgere funzioni giurisdizionali. Diverso il caso di magistrati candidati ma non eletti, che per tre anni non potranno più lavorare nella Regione che ricomprende la circoscrizione elettorale in cui si sono candidati, né in quella dove si trova il distretto in cui lavoravano. Per quanto riguarda il settore penale, verrà ammesso solo un passaggio di funzione da requirente a giudicante. Stop alle nomine a pacchetto. I membri del Csm tornano ad essere 30, dai 24 di adesso. Di cui 10 laici. 13 i giudicanti. Il segretario generale verrà scelto dal comitato di presidenza, per evitare accordi tra correnti che già hanno scosso la magistratura. Secondo l’Associazione Nazionale Magistrati, la norma che dispone la prescrizione dopo un massimo di tre anni dalla sentenza di primo grado (due in Appello e uno in Cassazione, salvo proroghe per i reati a grave impatto sociale come quello di stampo mafioso) «non accorcerà di un giorno la durata dei processi, ma cambierà radicalmente la figura del magistrato, in contrasto con quello che prevede la Costituzione. Il Paese ha bisogno di recuperare fiducia nella magistratura, ma per ottenere ciò serve una riforma che attui veramente l’art. 107 della Costituzione, secondo il quale i magistrati si distinguono fra loro soltanto per le funzioni e che affermi chiaramente che non devono esistere carriere in magistratura».
Ma le ragioni più cogenti pare interessino, insieme alla riforma del Csm, proprio il nuovo sistema di valutazione dei giudici. Secondo meccanismi che introdurrebbero troppa pressione. Santalucia aveva infatti dichiarato in occasione dell’assemblea straordinaria dell’ANM del 30 aprile: «Non state migliorando il sistema delle valutazioni di professionalità, lo state inceppando, in più con spunti assolutamente pericolosi perché l’esito degli affari creerà in un magistrato il timore di poter essere valutato non per il possesso della tecnica dell’argomentazione giuridica, ma per non avere “indovinato” quale è la decisione giusta. Ma noi non decidiamo secondo premesse necessitanti, questo lo sapete, è la logica del probabile che domina i processi. Ogni processo è necessariamente un processo indiziario, non ci sono certezze e noi dobbiamo avere il coraggio di muoverci anche quando il verosimile non ci assiste, perché il verosimile non è la verità, noi dobbiamo avere coraggio nelle decisioni e voi spegnete il coraggio».