Tra pochi giorni, il prossimo 6 maggio, cadrà il ventesimo anniversario della morte di Pim Fortuyn, nome che – per moltissimi in Italia – resta tuttora sconosciuto.
Chi era? E’ stato l’eccezionale leader olandese assassinato nel 2002 da un estremista di sinistra, e fondatore di una lista – poi subito sfaldatasi dopo la sua morte – capace di movimentare la politica dei Paesi Bassi, e da lui condotta a impensabili successi elettorali.
In tanti, in patria e fuori, cercarono di appiccicargli l’etichetta di estrema destra, di Haider olandese, con un tentativo pervicace di marginalizzarlo e caricaturizzarlo. E la mostrificazione, in Italia, colpì (perfino in luoghi teoricamente insospettabili…) chiunque osasse proporre una lettura diversa del suo fenomeno. A mio avviso, infatti, Fortuyn incarnò un modello tutto diverso rispetto alla caricatura estremista che i suoi odiatori gli appiccicarono in vita e post mortem.
Era chiaramente un uomo di destra, certo: ma fautore di una linea liberale e laica. La sua vera lezione sta nel modo in cui condusse le campagne contro l’immigrazione incontrollata e contro l’estremismo islamico: non adducendo ragioni razziste, che anzi respingeva con sdegno, ma proprio in nome delle ragioni della tolleranza olandese, in nome della cultura e del sistema di valori occidentale, in nome della constatazione del rifiuto di integrarsi delle comunità islamiste più radicali, in nome della necessità di non cedere al fondamentalismo ma di contrapporre ad esso le bandiere occidentali della libertà, della democrazia, del rispetto di ogni scelta personale.
Magistrali le sue campagne contro il multiculturalismo, inteso come (impossibile e dannosa) integrazione di comunità, contro l’idea di lasciare a queste comunità spazi e territori sottratti alla legge (o affidati a una legge diversa, ai precetti dell’islamismo estremista). E a maggior ragione azzeccata la sua insistenza sull’integrazione individuale, e quindi sul necessario rispetto, da parte di chi arriva, di regole e principi liberali.
Poi, su un altro piano, Fortuyn aveva compreso prima di altri un punto che oggi è chiaro alla gran parte dei partiti liberalconservatori occidentali (purtroppo non in Italia, mi pare): l’elettorato che è liberale e pro mercato in economia ha ottime chances di essere aperto, o comunque tollerante, anche sul terreno delle libertà personali. Dunque, pure su temi di coscienza, non è detto che abbia senso restare inchiodati a posizioni confessionali o dogmatiche: e potrebbe invece essere saggio, specie rispetto all’elettorato più giovane, tentare un approccio meno scontato e più aperto, o almeno un po’ meno prevedibilmente connotato in senso illiberale.
Quindi, il suo è stato un tentativo – ibrido e poi stroncato dalla morte – di una destra libertaria a tutto tondo, durissima su immigrazione incontrollata e ordine pubblico, indefettibilmente occidentale, liberale e pro mercato in economia, e non regressiva in materia di libertà personali. Quell’esperimento olandese indicò una strada: peccato che così pochi se ne siano accorti e abbiano voluto provare a percorrerla anche altrove.