Politica
Mulè: «Se chiamati, interverremo in Ucraina con la nostra sanità militare»
Di Alessandro Caruso
L’Italia non si tirerà indietro nel caso in cui ci sia una decisione condivisa: il corpo sanitario delle nostre Forze armate potrebbe essere coinvolto in Ucraina. Lo ha spiegato il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè, nell’intervista a The Watcher Post. L’Italia sta guadagnando credibilità sullo scacchiere internazionale, come conferma il suo inserimento tra i cinque stati garanti di un eventuale processo di pace. Mulè non ha dubbi: «Merito di Draghi e della sua coerenza».
Le vicende di Bucha potrebbero avere conseguenze di natura diplomatica?
«I fatti di Bucha segnano un punto di non ritorno per la loro brutalità. In questo momento è in atto una grande propaganda, una corsa all’attribuzione delle responsabilità. Spero che non incidano nel processo negoziale, anche se resterà una macchia che avrà certamente un peso politico. Per evitare un’ulteriore escalation di violenza bisogna accelerare assolutamente il processo di pace».
E la propaganda in atto che influenza sta avendo?
Sui negoziati penso che abbia poca influenza, chi siede a quei tavoli sa qual è la situazione reale, ha fonti primarie e non filtrate dai media. A quei tavoli non si può bluffare. Altro discorso è la propaganda sulla popolazione civile, che sta condizionando in modo incisivo l’opinione pubblica. E stiamo vedendo due modelli fortemente contrapposti, da un lato la Russia, dove sono stati chiusi oltre 900 siti web che diffondevano notizie o analisi di guerra, solo perché non allineati con il mainstream del Cremlino. Dall’altro l’Occidente, dove c’è spazio per un confronto a tutto campo, addirittura per i saltimbanco della politica internazionale, che mettono anche in discussione la verità delle immagini che abbiamo visto».
Lei ha parlato di un ruolo importante dell’Italia nella mediazione verso la pace. Da cosa nasce questa credibilità?
«Il ruolo dell’Italia è stato coerente con i valori dell’atlantismo, una posizione ferma che ha preso il presidente del Consiglio e questa fermezza ha fatto sì che l’Italia sia stata accettata come uno dei cinque paesi garanti di un eventuale processo di pace. Questo non dà una posizione di neutralità all’Italia, ma le conferisce una credibilità che discende dall’aver mantenuto gli impegni in campo politico, umanitario e militare. Il ruolo che già l’Italia sta svolgendo presuppone di continuare in questa linea di coesione, che risiede nella capacità di influenzare o dirigere i processi internazionali che vanno in direzione della pace».
Lei ha detto che non partiranno i nostri soldati. Ma il corpo sanitario delle nostre Forze armate potrebbe essere coinvolto? O in Ucraina o nei paesi confinanti?
«L’Italia è tra i paesi che chiedono l’apertura non di corridoi, ma di autostrade umanitarie: la nostra Croce Rossa, che è un corpo afferente al ministero della Difesa, è impegnata all’interno dell’Ucraina e ai confini. Laddove fossimo chiamati dalle parti in causa a esercitare un ruolo umanitario che coinvolga le strutture sanitarie delle nostre Forze armate, ovviamente saremo pronti a prenderci le nostre responsabilità per dar seguito a un’indicazione condivisa, che sarebbe peraltro la condizione per un cessate il fuoco a sua volta propedeutico a un negoziato di pace».
Questo conflitto sta accelerando il processo di costruzione di una strategia di difesa comune europea?
«Il progetto di difesa europea già esisteva, basti pensare alla creazione entro il 2025 del primo Readiness battlegroup della Nato, cioè le 5mila unità provenienti dai singoli stati membri. L’Europa sta formando un progetto di difesa comune con lo Strategic compass, che si realizzerà entro il 2030, nell’ambito del quale dovremo sviluppare sistemi di difesa condivisa che porteranno anche a una maggiore armonizzazione economica.
Che intende?
«Negli Usa fino a qualche anno fa erano presenti 30mila carri armati, con 37 sistemi diversi. In Europa ne avevamo 15mila, ma con 140 sistemi diversi. Significa che c’è un dispendio di risorse nello sviluppo di tali sistemi, quando se si decidesse di fare un carroarmato comune europeo e un caccia di sesta generazione si eviterebbero duplicazioni e gare inutili, mettendo a spesa comune investimenti che ricadrebbero sui singoli stati. Questo comporterebbe un risparmio economico dal punto di vista dei sistemi».
È soddisfatto del compromesso che si è trovato sulle spese militari?
«Il compromesso è quello che i 5Stelle intendono contrabbandare all’esterno come tale. Il traguardo del 2024 fin dal 2019 era stato ritenuto irrealistico e irrealizzabile non solo dal ministro della Difesa, che era lo stesso di adesso, Lorenzo Guerini, ma anche dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, in un’audizione congiunta del novembre 2020, nella quale si diceva chiaramente che quell’obiettivo non era raggiungibile e si delineava già all’epoca un percorso che ci avrebbe fatto arrivare al 2030. Devo dire anzi che il 2028 anticipa questa previsione. Purtroppo noto che quella che è stata un’iniziativa di propaganda populista dei 5Stelle si è rivelata deleteria da un punto di vista dell’immagine dell’Italia. Il Parlamento aveva già deciso di non aumentare le spese militari così come veniva annunciato nelle interviste, ho sentito parlare anche di 15 mld in un anno. Si è sempre pensato, invece, a un percorso stabile nel tempo che andasse di pari passo con la progressione del Pil. Nel 2019 e nel 2020, in cui il Pil è rispettivamente cresciuto dello 0,2% e decresciuto del 9%, con i governi Conte 1 e Conte 2 le spese militari sono state aumentate di 1,5mld e 1,6mld, per un totale 3,1 mld, con un incremento di oltre il 10%, quindi se si è potuto fare allora, mi chiedo adesso perché non si potrebbe fare».
Facciamo chiarezza, a quanto ammontano le spese militari oggi?
«Attualmente le spese ammontano a 26 mld di euro. Il 2% del Pil è in totale 32/33 mld, quindi la differenza è solo di 6mld che investiremo nel tempo a seconda delle esigenze di bilancio e di ciò che avremo a disposizione da un Pil che speriamo sia sempre in crescita».
Ad ogni modo questa vicenda ha dato qualche grattacapo alla maggioranza.
«Più che grattacapo, parlerei di mal di testa. Perché a fronte di posizioni contrarie alla verità e ai fatti è stato difficile smentire. Si è messa la fiducia per un problema tecnico legato anche a un ordine del giorno presentato da Fratelli d’Italia. Nulla cambia perché la sostanza è che in quel decreto che è stato votato dal Senato non era previsto né prima, né durante, né dopo le urla dei 5Stelle, che ci fosse un solo riferimento alle spese militari e al 2% del Pil da raggiungere. Si è trattato di un “teatrino” architettato da Conte, immagino per una sua rielezione alla presidenza del Movimento, e per una incapacità dei 5Stelle di legittimarsi all’esterno di questa maggioranza, però alla fine i fatti ci dicono che le cose sono andate esattamente come dovevano andare».
È d’accordo con chi ritiene che la difesa del futuro si muoverà più nel cyberspazio e nell’aerospazio?
«Ci sono investimenti che pretendono un arco temporale lungo e grande serietà. Mi riferisco per esempio al carroarmato europeo unico, che è qualcosa di cui l’Italia ha una straordinaria necessità, e al caccia di sesta generazione. Accanto a questi investimenti dobbiamo sviluppare i programmi di cyber e guerra ibrida. Lo sviluppo delle nuove tecnologie satellitari è funzionale non solo alle esigenze di difesa, ma anche a quelle di natura civile. Sicuramente le guerre già si combattono in una forma che prevede il dominio dell’aerospazio e del cyberspazio e certamente in questa direzione si muoveranno grandi quantità di budget. Da questi investimenti dipenderà la difesa delle nostre infrastrutture dal punto di vista cibernetico dipende la capacità di difesa della nostra democrazia».