Ambiente

Energia, la dipendenza da Mosca rallenta il Green Deal

02
Marzo 2022
Di Flavia Iannilli

L’Europa conta i giorni che la dividono dai mesi dell’anno più miti, mai, come in questo periodo, si è invocato l’arrivo della primavera. Lo scaldarsi della situazione in Ucraina trascina con sé l’emergenza climatica. Le parole del Premier Draghi sono state chiare: «In assenza di forniture dalla Russia, la situazione per i prossimi inverni rischia di essere più complicata. Il Governo ha allo studio una serie di misure per ridurre la dipendenza italiana dalla Russia» ringraziando il Ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, per il lavoro che sta svolgendo in merito, ha cercato termini rassicuranti: «Eventuali incrementi temporanei nella produzione termoelettrica a carbone o petrolio non prevedrebbero comunque l’apertura di nuovi impianti».

Perché per avere una riduzione significativa della dipendenza dal gas russo ci vorranno almeno 24 mesi. A quanto pare, per quanto riguarda il breve termine, l’Italia non dovrebbe avere problemi soprattutto per l’avvicinarsi della primavera, ma sarà necessario affrontare il nodo stoccaggio per quanto riguarda il prossimo anno. Problema che non si riduce alla nostra penisola, ma che hanno fatto notare tutti i ministri europei competenti in materia durante il Consiglio Energia dell’Unione europea, che si è svolto ieri.

L’obiettivo è sganciarsi dalla soggezione a Mosca in maniera efficace. L’accelerazione sulle rinnovabili è un punto sui cui tutti i protagonisti del Consiglio si trovano d’accordo, focus che richiede un impegno nella semplificazione della burocrazia. Ma le fonti rinnovabili sono solo una parte della soluzione, il rischio è che, per sopperire alla dipendenza russa, si abbandoni la Fit for 55, pacchetto che racchiude le proposte legislative relative al raggiungimento degli obiettivi del Green Deal entro il 2030. 

Motivo per cui Cingolani ha specificato: «Il Presidente del Consiglio non ha mai detto che apriamo le centrali a carbone» e ha chiarito la regola per cui, se si ha un picco molto alto di temperature basse, si può decidere di dare priorità all’elettricità prodotta a carbone per un periodo limitato. Solitamente, nella gestione di flussi, si cerca di tenere quest’approvvigionamento al minimo, ma nell’applicare la regola evidenziata da Cingolani non c’è alcuna deroga ai limiti ambientali.   

Le conclusioni a seguito del Consiglio hanno stabilito che gli stati membri dell’Ue apriranno dialoghi con i partner di tutto il mondo per realizzare l’accelerazione dell’attuazione che riguardano azioni e iniziative concordate durante la COP 26.

Approcciando al Team Europa congiunto i ministri si sono trovati a ribadire la necessità di integrare i diritti umani, in modo sistematico, all’interno dell’azione per il clima nella diplomazia energetica. 

A questo si aggiunge sia l’impegno collettivo a tutti i paesi sviluppati, ai quali è stata chiesta la mobilitazione di 100mld di USD all’anno (l’equivalente di circa 84mld di Euro), che lo svolgimento di un ruolo di catalizzatore a banche multilaterali di sviluppo e istituzioni finanziarie internazionali per mobilitare il settore privato e per spostare i flussi di finanziamento mondiali verso investimenti sostenibili. 

Nonostante le mobilitazioni, gli impegni e le richieste, l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra al 55%, rispetto ai livelli del 1990, rimane un progetto ambizioso. Ad oggi la rincorsa alla “carbon neutrality” entro il 2050 assomiglia molto al paradosso di Achille e la tartaruga.