Lo scorso martedì, a poche ore di distanza dalla bocciatura senza appelli né precedenti inflitta dalla Commissione europea al Documento programmatico di bilancio italiano, le colonne del Wall Street Journal ospitavano un illuminante editoriale intitolato “Il problema della crescita dell’Europa, in italiano”. Nel mirino degli opinionisti d’Oltreoceano c’erano i “mandarini di Bruxelles”, rei di aver ingaggiato la battaglia sbagliata contro il governo gialloverde, che adesso rischia sanzioni pari a fino lo 0,2% del Pil per aver violato gli impegni assunti a suo tempo dall’esecutivo Gentiloni sui saldi di finanza pubblica. Da questa parte dell’Atlantico la questione è tristemente nota e investe sia il concetto di sovranità (lato italiano), sempre più vittima di un progressivo quanto inesorabile processo di erosione, sia la necessità di disinnescare (lato europeo) quella bomba per la moneta unica che sarebbe un’eventuale insolvenza del nostro paese. Per vincere la battaglia sul bilancio, sostiene l’influente quotidiano finanziario statunitense, le autorità europee dovrebbero però mettere da parte “dubbiosi target di politica fiscale e preoccuparsi di più delle politiche che aiutano l’Italia a crescere”. Separando, nello specifico, le misure suscettibili di stimolare l’espansione economica (è citata la flat tax proposta dal leader leghista Matteo Salvini) da quelle reputate invece incapaci di rilanciare il Pil, tanto più quando sottoforma di “elemosine per il welfare e lavori pubblici che l’Italia non può portare a termine senza sprechi e corruzione”.
Le autorità europee farebbero dunque bene a mettere da parte i balletti sugli “zero virgola” che rischiano soltanto di comprimere fatalmente il diritto di un governo democraticamente eletto a perseguire politiche economiche di propria scelta, con tutte le (esplosive) conseguenze del caso sugli umori popolari di un paese impoverito, fragile e alla ricerca di più o meno facili capri espiatori. È un fatto, come scrive il Wsj, che oggi a Bruxelles nessuno appaia più in grado di distinguere fra tagli delle tasse che aumentano gli incentivi alla crescita e spesa improduttiva che non lo fa. Invece che rimproverare all’Italia di aver superato di qualche punto di decimale il tetto del deficit, la Commissione avrebbe potuto incalzare il governo per non aver progettato abbastanza e bene per favorire la ripresa economica del paese. Essendo questa la condizione-regina per addivenire a una riduzione sostenibile di quel gargantuesco debito pubblico che tanto agita le cancellerie europee. E dire che di settori su cui intervenire ce ne sarebbero ben donde. L’analisi sui settori industriali di Intesa Sanpaolo-Prometeia, ad esempio, ha tracciato un’istantanea assai particolareggiata della spaccatura che ha letteralmente bipartito la nostra economia nell’ultimo quadriennio, con una metà del sistema produttivo nazionale che viaggia a livelli europei e l’altra metà ferma al palo. Nella metà virtuosa c’è la manifattura, l’industria estrattiva, le attività artistiche, noleggi, agricoltura, attività legali, immobiliari e ingegneria. Nell’altra, invece, settore pubblico, edilizia, settore bancario, finanziario, infrastrutture e servizi, dall’energia elettrica al gas, dai trasporti all’acqua e ai rifiuti.
Alberto De Sanctis