Politica
Sorge il dubbio che il decisore politico non comprenda cosa significhi gestire un’impresa
Di Daniele Capezzone
Sorge il fondato dubbio che il decisore politico non comprenda cosa voglia dire gestire un’impresa in generale, un locale in particolare, e – in modo ancora più specifico – un locale da ballo.
Forse qualcuno pensa che la riapertura dell’11 febbraio scorso (in tragico ritardo e limitata al 50% della capienza) risolva i problemi? Forse qualcuno pensa che il “contentino” della capienza al 75% per gli spazi all’aperto, mentre fa ancora freddo e si è in pieno inverno, sia risolutivo? Forse qualcuno pensa che gli incassi della serata di San Valentino compensino due anni di stop and go (più stop che go, come sappiamo…)? Forse qualcuno pensa che semestri interi di criminalizzazione mediatica, come se l’emergenza Covid fosse stata creata dalle discoteche, si cancellino con un tratto di penna? Forse qualcuno pensa che qualche migliaio di euro di ristori possano evitare chiusure e fallimenti? Forse qualcuno non ha tenuto il conto delle chiusure, con relativi licenziamenti e posti di lavoro persi? Forse qualcuno pensa che l’incertezza su nuove eventuali misure (dopo ciò che è successo in questo tragico biennio, chi può pianificare con serenità investimenti nel settore?) non sia destinata a pesare ancora? Forse qualcuno pensa che sia facile trovare – con uno schiocco delle dita – personale pronto, formato, qualificato?
I gestori di locali avranno pure avuto (chi può negarlo…) alcune responsabilità, nei decenni passati, per qualche opacità nella gestione, per una non sempre limpida e trasparente rendicontazione delle presenze effettive, dei drink e delle consumazioni in sala, e così via, ma ciò può forse giustificare il fatto che un settore sia stato letteralmente massacrato?
C’è da temere – nel panorama politico – che alcuni non comprendano proprio, che altri (a sinistra) abbiano qualche avversione ideologica, e che altri ancora (a destra) siano inspiegabilmente timidi e distratti rispetto alla difesa delle piccole imprese.
E allora cosa resta ai coraggiosi (verrebbe da dire: agli spericolati) imprenditori che ancora decidono di voler investire in questo settore? A loro rimangono due armi: il loro amore per l’intrapresa privata, che nemmeno i burocrati più statalisti riusciranno a cancellare; e per altro verso la propensione alla vita, al sorriso, al divertimento, che – più o meno faticosamente – tornerà a farsi strada in settori via via più ampi della società italiana, nonostante la liturgia martellante del terrore in cui siamo ancora immersi. Sperando che – per la situazione economica di molti locali – non sia già troppo tardi.