Economia
Tanto rumore per nulla: NO, Meta non vuole lasciare l’Europa
Di Axel Donzelli
Molto rumore per nulla, titolo dell’opera teatrale scritta da William Shakespeare sul finire del 1500, è oramai un’espressione di uso comune per indicare spesso l’uso di molte parole per non dire, e che non approdano a nulla. Complicazioni, baccano, confusioni ed equivoci dovuti ad un eccesso di attenzione (in questo caso mediatica). La scorsa settimana, la casa madre di Facebook & co. in un rapporto annuale presentato alla Securities and Exchange Commission (l’ente federale statunitense preposto alla vigilanza della borsa valori) dichiarava che “probabilmente non sarà in grado di offrire alcuni dei nostri prodotti e servizi più significativi, inclusi Facebook e Instagram, in Europa se le sue piattaforme non saranno in grado di trasferire i dati dalla regione agli Stati Uniti”.
Così il battito d’ali di farfalla si è trasformato rapidamente in uno tsunami di dichiarazioni e conferenze stampa che hanno visto anche i vertici della politica europea non perdere occasione per esprimersi sul tema. Come ad esempio il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire «Posso confermare che la vita è molto buona senza Facebook e che vivremmo molto bene anche senza». Più realista e programmatica invece Marietje Schaake, direttrice della politica internazionale presso il Cyber Policy Center della Stanford University ed ex parlamentare europea attiva sui temi del digitale, che ha dichiarato «La mia valutazione delle possibilità che si tireranno fuori è zero. Il mercato europeo è semplicemente troppo importante per loro, a differenza ad esempio dell’Australia».
Naturalmente, nonostante le primissime smentite fatte ai microfoni di Bloomberg da parte del portavoce di Meta, la notizia era troppo succosa per non rimbalzare con effetto domino su tutte le pagine e gli schermi del pianeta. Il risultato ha condotto alla pubblicazione di uno statement ufficiale a firma di Markus Reinisch, Vicepresident Public Policy Europe, sul blog dell’azienda di Menlo Park.
“Meta non vuole lasciare l’Europa e qualsiasi segnalazione che implica che lo faremo semplicemente non è vera. Proprio come altre 70 società dell’UE e degli Stati Uniti, stiamo identificando un rischio aziendale derivante dall’incertezza sui trasferimenti internazionali di dati”. Da quanto si intende dalla dichiarazione, la frase incriminata nel report non faceva riferimento alla sola Meta ma piuttosto era un accorato tentativo di far comprendere come certe decisioni legate ai meccanismi di trasferimento dati UE-USA avrebbero avuto ripercussioni su molte altre aziende, incluse alcune europee, in diversi settori, esprimendo un’incertezza di fondo su una politica troppo restrittiva da parte dell’Europa.
“Vogliamo che i diritti fondamentali degli utenti UE siano protetti e vogliamo che Internet continui a funzionare come previsto: senza attriti, nel rispetto delle leggi applicabili, ma non confinato entro i confini nazionali”, chiosa Reinisch nella sua dichiarazione.
Non ci è dato sapere se tutto ciò sia stato un escamotage comunicativo per attrarre l’attenzione mediatica necessaria a sollevare la questione, utile ad una più ampia strategia volta alla negoziazione con l’Unione Europea, ma la cosa che sorprende è come a traino non ci sia stata minimamente l’idea che tutto ciò in realtà non sarebbe mai potuto accadere, anche semplicemente per gli interessi in ballo, peccando di naïveté. Se così non fosse, invece, sorge una domanda. È forse lecito chiedersi se le spinte mediatiche siano state mosse da una cattiva fede, con il solo grande intento di riempire le pagine di titoloni “acchiappa click” e le bocche di qualcosa di cui parlare?