Esteri
Conflitti tra Belgrado e Pristina. Usa e Ue spediscono inviati per negoziare
Di Daniele Bernardi
Il 31 Gennaio 2022 Miroslav Lajcak, inviato dell’Unione Europea, e Gabriel Escobar, inviato degli Stati Uniti, sono atterrati a Pristina per visitare le istituzioni kosovare e risolvere il conflitto tra Kosovo e Serbia. Nel corso della giornata i due inviati hanno incontrato la presidente Vjosa Osmani, il premier Albin Kurti e il vicepremier Besnik Besljimi, delegato del Kosovo al tavolo delle trattative.
Ma facciamo un passo indietro. Cosa è successo in Kosovo?
Iniziamo col dire che, dalla dichiarata indipendenza del 2008, il Kosovo non è mai stato riconosciuto dalla Serbia. Questa è sempre stata ragione di conflitto tra i due paesi confinanti, ma a ciò si aggiunge la presenza nelle zone nord dello stato di importanti componenti di etnia serba, fortemente sostenute da Belgrado.
Numerosi sono stati i tentativi di questi anni per trovare una soluzione a questo conflitto, 33 solo sotto la supervisione dell’Unione Europea negli ultimi 11 anni. Ma finora nulla è stato concretamente realizzato. Tra i vari accordi tentati tra i due paesi, c’è quello del 2013 a Bruxelles, per cui si voleva istituire una Comunità delle Municipalità serbe in Kosovo, ovvero nelle zone a maggioranza serba. Pristina ha rifiutato la creazione di quest’organismo perché in contrasto con la propria costituzione che vieta la formazione di entità monoetniche. Il pericolo inoltre è che si venga a ricreare una Repubblica di Srpska, repubblica nata per mano dei cittadini di etnia serba presenti in Bosnia.
Ad infiammare ulteriormente la situazione è stata la cosiddetta “Guerra delle targhe”. Il governo kosovaro ha imposto alle auto serbe di acquistare ed esporre targhe provvisorie recanti la dicitura: “Repubblica del Kosovo”. L’iniziativa è la risposta di Pristina all’analogo aut aut di Belgrado, il quale dal 2011 non consente l’accesso sul proprio territorio a veicoli con targhe kosovare. La presidente Osmani ha giustificato così il provvedimento: “La decisione del governo garantisce ai cittadini di entrambi i paesi un trattamento uguale, nonché la libertà di circolazione. Ed è stata implementata su tutti i valichi di frontiera, tranne su due valichi al nord del Kosovo, dove il governo di Belgrado e le strutture illegali strumentalizzano la popolazione locale serba”.
Il riferimento della presidente è alle zone di cui si discuteva precedentemente e nelle quali, a seguito del provvedimento, sono sorte violente manifestazioni, per sedare le quali, il governo di Pristina ha inviato soldati del corpo speciale ROSU. La risposta della Serbia non si è fatta attendere e il presidente Aleksandr Vucic ha minacciato il blocco totale del processo negoziale col Kosovo.
Il conflitto tuttavia non si è limitato ai confini dei soli due stati ma ha interessato fin da subito alcune potenze alleate. L’ambasciatore russo in Serbia ha visitato le basi militari al confine col Kosovo, mentre dall’altra parte il primo ministro in visita dall’Albania, Edi Rama, ha criticato le “teatrali manovre militari” di Belgrado.
L’obiettivo dichiarato della visita dei due inviati Usa e Ue è quello di far rispettare gli accordi già raggiunti dalle parti nell’ambito del negoziato che va avanti dal 2011. Dopo i primi incontri dall’arrivo a Pristina il 31 gennaio scorso, Gabriel Escobar ha affermato: «Incoraggiamo tutte le parti a guardare ai Balcani occidentali come potenziali futuri membri dell’Ue, tutti in pace tra loro, tutti membri produttivi e capaci, nel modo in cui li abbiamo visti come partner bilaterali». Alle dichiarazioni dell’inviato Usa hanno fatto da eco quelle del premier Kurti per cui questo deve essere un processo «dal quale traggano beneficio i cittadini di entrambi i paesi» e della presidente Osmani: «Il Kosovo è impegnato in un dialogo incentrato sul riconoscimento reciproco- ma – è già chiaro che la Serbia sta bloccando i progressi nel dialogo attraverso il suo approccio non costruttivo». Di contro, il 30 gennaio era stato il ministro degli esteri serbo Nikola Selakovic a dichiarare che non c’è stato alcun dialogo formale sulla normalizzazione delle relazioni.
Su simili posizioni si era mostrata l’Unione Europea, quando l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune Joseph Borrell aveva accusato, durante una conferenza col primo ministro serbo Ana Brnabic, il Kosovo di aver bloccato il dialogo con la Serbia: «Continueremo a prepararci per il prossimo incontro, ma ciò accadrà solo se le due parti troveranno un linguaggio comune su risultati positivi e sostanziali. Ecco perché Lajcak e io continueremo a impegnarci con le parti coinvolte, in particolare con il Kosovo, che sta dimostrando che non è disposto a sedersi al tavolo».
D’altronde già nel 2020, Borrell aveva interrotto il primo ministro kosovaro Kurti durante una conferenza: «Mi dispiace, Primo ministro, dobbiamo continuare a chiedere l’attuazione di questo accordo. So che ci sono altri accordi in sospeso. So che da entrambe le parti ci sono accordi che sono stati attuati, ma questo è molto importante».
Nel frattempo la situazione si fa incandescente: la Nato ha inviato nuove truppe nelle forze armate KFOR e in totale ci sono in Kosovo circa 4000 soldati provenienti da 28 nazioni, mentre la Serbia ha schierato veicoli e fatto sorvolare aerei militari sopra il confine. Il presidente serbo Vucic ha spiegato che Belgrado rimane impegnata per la pace ma “non si lascia umiliare”.
Ad inasprire gli animi ci sono poi le imminenti campagne elettorali in entrambi i paesi e i rispettivi partiti che cercano di macinare consensi facendo leva sul nazionalismo del popolo. Per questa ragione il primo febbraio i leader dei partiti in Kosovo hanno tenuto a incontrare gli inviati per comunicare pubblicamente la propria posizione.
Memli Krasniqi, leader del Partito democratico del Kosovo (PdK) ha dichiarato che «l’accordo non deve danneggiare la sovranità statale, l’integrità territoriale e l’ordine costituzionale». Su posizioni analoghe Lumir Abdixhiku, leader della Lega democratica del Kosovo (LdK), e Ramush Haradinaj, del partito Alleanza per il futuro del Kosovo (AaK).
Quando scriviamo questo articolo, Lajcak ed Escobar hanno appena raggiunto Belgrado in Serbia, nella speranza di giungere ad una concreta pace tra i due paesi. Non resta che attendere nuovi risvolti dal secondo capitolo di questa storia.