Lega e 5Stelle sono riusciti a superare il primo grande ostacolo lungo la via per Palazzo Chigi. A oltre due mesi dal voto, il passo indietro di Silvio Berlusconi ha infatti consentito ai leader di Carroccio e Movimento di dare ufficialmente il là al complesso negoziato bilaterale per la nascita di un esecutivo politico. Sulla mossa a sorpresa dell’ex primo ministro possono aver inciso diversi ordini di fattori. Da un lato il fatto di essersi comunque mantenuto un certo margine d’influenza residuale sull’alleato, senza per questo incappare nei costi associati al fardello di chi siede al governo. Dall’altro, invece, le forti pressioni interne alla stessa Forza Italia volte a scongiurare un ritorno anticipato alle urne dagli effetti potenzialmente devastanti.
Dopo la minaccia d’inizio settimana di essere pronto a varare un esecutivo tecnico per superare l’impasse – un fatto che non ha mancato di incidere sugli sviluppi delle ultime ore se si considera che ben difficilmente siffatta compagine avrebbe ottenuto la fiducia del Parlamento – il Colle ha fissato a domenica la deadline per chiudere l’accordo Salvini-Di Maio. I prossimi due grandi nodi da sciogliere ruotano dunque attorno ai nomi della squadra di governo e al programma di un esecutivo giallo-verde. I leader leghista e pentastellato professano fiducia e assicurano di stare realizzando passi in avanti significativi nell’ottica di una “costruttiva collaborazione”. Nel primo caso la partita è soprattutto sull’identikit del prossimo primo ministro: mentre non decolla l’ipotesi di una staffetta, avanza l’idea del nome terzo, ossia di una personalità di alto profilo che raccolga assieme il placet degli alleati e del Presidente della Repubblica. Sergio Mattarella è stato chiaro: per quanto suadenti, le litanie sovraniste o antieuropee non dovranno trovare posto nel prossimo esecutivo.
Per questo il Capo dello Stato è impegnato a tutto fondo per soffocare sul nascere ogni ipotesi di deriva populista, tracciando attorno al costituendo governo
una vera e propria barriera all’insegna dei vincoli costituzionali ed europei, dei patti internazionali e delle alleanze storiche dell’Italia. Nel mentre c’è da definire la natura effettivamente politica dell’esecutivo Lega-M5s e dunque la portata del contratto alla tedesca fra le parti. Alcuni punti sono già stati individuati: superamento della Legge Fornero, sburocratizzazione e riduzione di leggi e regolamenti, reddito di cittadinanza, flat tax, riduzione dei costi della politica, corruzione, immigrazione clandestina e legittima difesa. In attesa di scoprire come questi si declineranno nel concreto e soprattutto di conoscere l’effettiva composizione della coalizione parlamentare destinata a sostenere il primo governo apertamente antisistema della storia d’Italia (cosà farà, ad esempio, Fdi?), valga una riflessione sull’eventuale fallimento del tentativo Salvini-Di Maio. Difatti, l’evidenza forse più forte che emerge dagli ultimi due mesi di stallo politico è che nel Parlamento della XVIII Legislatura non esistono maggioranze in grado di prescindere dall’asse Lega-M5s.
È un dato tanto semplice quanto ineludibile benché, spesso, a questo punto forse troppo frettolosamente dimenticato.
Alberto De Sanctis