Mercoledì, con la solennità tipica di chi annuncia una vittoria di Pirro, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di sospendere per 90 giorni la maggior parte dei dazi appena introdotti da lui stesso. Secondo la narrazione ufficiale, quella distribuita con enfasi dalla Casa Bianca, si sarebbe trattato di una mossa strategica raffinata, una coreografia tattica premeditata. «Era il piano fin dall’inizio», ha detto Scott Bessent, segretario al Tesoro. «Avete appena assistito alla più grande strategia economica mai realizzata da un presidente americano», ha rincarato il consigliere Stephen Miller, con lo slancio tipico di chi confonde propaganda e realtà.
La verità, però, sembra essere assai più semplice – e banale: Trump ha cambiato idea per paura. Paura di una crisi finanziaria che, da temporale passeggero, minacciava di trasformarsi in uragano. I mercati avevano reagito ai dazi con crolli rapidi e vistosi. Gli investitori, già nervosi per l’inflazione e l’avvio della stagione delle trimestrali, avevano iniziato a lamentarsi.
E così, tra un’escalation verbale e l’altra, la realtà ha presentato il conto alla Casa Bianca. L’aumento dei rendimenti dei titoli di stato americani – considerati il termometro della fiducia nel paese – ha lanciato un messaggio chiaro: la politica dei dazi non stava danneggiando solo Wall Street, ma minava direttamente la credibilità economica degli Stati Uniti. E Trump, che ama definirsi uomo d’affari e odia le cattive notizie economiche, ha deciso di fare un passo indietro.
A questo punto si è mosso anche Jamie Dimon, CEO di JPMorgan e figura ascoltata nei salotti della finanza e, a quanto pare, anche a Fox News. In un’apparizione televisiva, Dimon ha detto che i dazi avrebbero probabilmente provocato una recessione. Poche ore dopo, Trump ne ha lodato il genio, in un perfetto balletto di autoconvinzione.
Il colpo di scena è arrivato così, senza preavviso: alle 13:18 ora di Washington, il Presidente ha postato su Truth la notizia della sospensione, lasciando esterrefatti anche i suoi collaboratori. Nel post, Trump ha affermato che la pausa servirà per negoziare “accordi giusti” e che “tutti vogliono trattare con noi perché ora siamo forti”. Il messaggio è stato accolto con entusiasmo dai mercati americani: il Dow Jones ha guadagnato il 4,5% in poche ore. Ma in Europa il clima resta più cauto: Piazza Affari e le principali Borse europee hanno chiuso in negativo, segno che la fiducia non è ancora pienamente ristabilita.
A complicare il quadro, è arrivata la conferma che la sospensione di 90 giorni non riguarda tutti i Paesi: la tariffa base del 10% verrà applicata solo a chi ha accettato di trattare un accordo commerciale. L’unica eccezione è la Cina, contro cui verranno mantenuti dazi complessivi al 145%, tra il 125% annunciato da Trump e un ulteriore 20% già in vigore per il fentanyl. Pechino ha immediatamente risposto alzando i controdazi sui beni americani dall’84% al 125%.
Con il suo stile ormai familiare, Trump ha comunque tenuto a precisare che questa è solo una pausa, non una resa. I dazi, dice, restano una risposta necessaria agli squilibri commerciali, e la sospensione durerà solo fino a luglio. Nel frattempo, si apre una finestra per le trattative, con decine di Paesi – Europa inclusa – pronti a giocare la carta diplomatica. Gli Usa dichiarano a tal proposito che l’UE verrà trattata “come un unico blocco”, evitando negoziati singoli con i vari Stati membri. Anche l’Italia si è messa in moto: Giorgia Meloni ha annunciato una visita a Washington per il 17 aprile, con l’obiettivo di evitare l’escalation e proporre la rimozione reciproca dei dazi industriali.
Per ora la guerra commerciale si è fermata. Ma con Trump alla guida resta impossibile dire se si tratti di una vera apertura al dialogo o solo di una tregua tattica destinata a esaurirsi presto.
