“Rischi di incertezza politica”. E ancora: “Fate presto o lo spread tornerà a colpirvi”. Dopo due mesi di silenzio e basso profilo, le autorità europee sono intervenute senza mezzi termini nello stallo politico che attanaglia l’Italia dalla sera del 4 marzo. È spettato al commissario agli Affari economici Pierre Moscovici il compito di rendere pubblici i timori di Bruxelles per il prolungato vuoto di potere a Roma e il mancato rispetto delle regole di bilancio. Nelle previsioni macroeconomiche primaverili, la Commissione stima per l’Italia una correzione nulla del deficit strutturale in rapporto al Pil nonostante le rassicurazioni ottenute in senso opposto, la scorsa estate, dal titolare del Mef Pier Carlo Padoan. Al netto dell’ormai proverbiale incapacità italiana di mettere mano alle riforme, è comunque improbabile che in questa fase il presidente Jean-Claude Junker decida di infierire sui conti di uno Stato membro che resta cruciale per la tenuta dell’eurozona. Sicché mentre i partiti falliscono uno dopo l’altro i tentativi di far nascere una nuova maggioranza di governo, non tramonta la possibilità di andare a elezioni anticipate, prospettiva che complice un’ulteriore iniezione di rigore non mancherebbe di offrire nuovi argomenti alle forze apertamente euroscettiche. Lo scenario è destinato a peggiorare se con il nuovo anno dovessero scattare le fatidiche clausole di salvaguardia sull’Iva, con annesso aggravio per i bilanci delle famiglie, calo dei consumi ed effetti depressivi su produzione e livelli occupazionali. Lunedì il capo dello Stato Sergio Mattarella non mancherà di darne conto alle forze politiche, convocate sul Colle per un terzo e ultimo giro di consultazioni. Tramontata l’ipotesi (tutto sommato gradita) di un asse M5s-Pd e determinato a scongiurare lo scioglimento anticipato delle Camere, il Quirinale auspica che un sussulto di responsabilità nei suoi interlocutori dischiuda l’esistenza di “altre prospettive di maggioranza”, a partire dalle soluzioni rimaste fino a oggi coperte oppure solamente vagheggiate. L’esperienza disastrosa del preincarico a Pier Luigi Bersani cinque anni fa, quando il centrosinistra aveva la maggioranza assoluta almeno alla Camera, esclude con forza ogni ipotesi di esecutivo di minoranza, lasciando sul tavolo quale unica alternativa realmente percorribile quella di un governo “del Presidente” o “di tregua”. Difficile però che Mattarella possa prorogare l’incarico dell’attuale primo ministro Paolo Gentiloni, espressione di una maggioranza sonoramente sconfitta alle elezioni e che difficilmente potrebbe raccogliere il necessario consenso delle forze eventualmente disposte a sostenere un esecutivo istituzionale. Lo guiderà piuttosto una figura su cui i partiti non potranno mettere veti anticipati, chiamata ad approvare in autunno la legge di bilancio e soprattutto scrivere una nuova legge elettorale, unica precondizione per fare sì che dalle urne non fuoriesca un altro Parlamento privo di maggioranze. Nel mentre Matteo Renzi si è confermato l’uomo al comando nel Pd dopo che la direzione presentata come l’ennesimo appuntamento destinato a eccitare le spaccature interne si è conclusa con la resa degli avversari dell’ex segretario.
Alberto De Santis