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Ucraina, settimana forse decisiva. E lo Yemen è in fiamme

16
Marzo 2025
Di Giampiero Gramaglia

Si va verso una settimana forse decisiva per la tregua in Ucraina: c’è attesa per un contatto al vertice fra Usa e Russia; giovedì e venerdì, i leader dei 27 Paesi dell’Ue si riuniranno a Bruxelles; giovedì, i capi militari dei Paesi alleati dell’Ucraina che formano la ‘coalizione dei volenterosi’ – non ci sono gli Usa – a Londra.

Dopo l’intesa fra Usa e Ucraina su una tregua di 30 giorni, maturata in Arabia Saudita martedì 11, gli sviluppi sono stati incalzanti: i colloqui al Cremlino dell’inviato speciale Usa, Steve Witkoff, e la visita a Washington del segretario generale della Nato Mark Rutte; una telefonata fra il segretario di Stato Usa Marco Rubio e il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov; il consulto fra i ministri degli Esteri del G7 in Canada; e l’incontro virtuale fra i leader dei 29 Paesi potenzialmente membri della ‘coalizione dei volenterosi’.

Ai fermenti di pace in Ucraina, corrispondono sussulti di guerra in Medio Oriente: fra Israele e Hamas, i negoziati per la seconda fase delle tregua avviata il 20 gennaio e scaduta a inizio marzo vanno avanti a rilento; e l’attacco degli Usa allo Yemen rischia di riattizzare il conflitto in un’area sempre inquieta.

Ucraina, Usa e Russia cercano intesa; l’Europa cerca un ruolo
Mentre Usa e Russia cercano un’intesa sulla tregua in Ucraina, gli europei discutono come garantire la sicurezza dell’Ucraina durante la tregua e in un eventuale dopoguerra: alcuni di essi sono pronti all’invio di una forza di interposizione. Ma non mancano fra di loro contrasti e contraddizioni: così, il premier britannico Keir Starmer, anima dell’iniziativa col presidente francese Emmanuel Macron, dice che il piano richiede in ogni caso una garanzia di sicurezza americana; e la premier italiana Giorgia Meloni esclude perora l’invio in Ucraina di soldati italiani.

Per Le Monde, gli alleati europei degli Stati Uniti avvertono l’urgenza di affrancarsi dall’America di Trump, che non è quella che loro conoscevano. “Il risveglio – scrive il giornale francese – è più violento perché la guerra in Ucraina aveva rafforzato la percezione degli europei di dipendenza dall’apparato militare americano, dagli aerei ai satelliti passando per l’artiglieria, le munizioni e le telecomunicazioni”.

Starmer e tutti dicono: “E’ tempo che le armi tacciano”.  Gli incontri dei volenterosi sono messaggi sia al presidente russo Vladimir Putin (che non deve ‘fare giochetti’ con la disponibilità alla tregua dell’Ucraina) sia al presidente Usa Donald Trump, che minaccia di lasciare l’Europa alla mercè della Russia e di colpirla, ad aprile, con ulteriori dazi, oltre a quelli universali già imposti sull’acciaio e l’alluminio – ai dazi, l’Ue risponde annunciando una raffica di ritorsioni -.

Il fermento europeo è per ora relativamente sterile, anche se il Washington Post vede “prendere forma una nuova alleanza transatlantica”, come reazione alle mosse di Trump. L’Europa chiede voce e ruolo, ma Trump la snobba e Putin bolla i ‘volenterosi’ come “cagnolini ai piedi di Trump”. E c’è chi la pensa come il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: “Putin non vuole una tregua, vuole vincere”, scrive Max Boot in un’opinione sul Washington Post.

Mentre la Gran Bretagna e i 27 oscillano fra programmi di aumento delle spese per la difesa, che piacciono a Washington, e abbozzi di difesa europea, che, invece, creano irritazione e appaiono utopistici o, almeno, futuribili, gli Stati Uniti esprimono “cauto ottimismo” sul cessate-il-fuoco, dopo che Witkoff ha conferito con Putin, riferendo poi a Trump.

Ma è vero che le sortite di Trump, e l’esito delle elezioni in Germania, rivitalizzano l’asse tra Parigi e Berlino – sostiene Politico -, con il concorso di Londra, che è fuori dall’Ue, ma è parte essenziale di ogni progetto di difesa europea. E i media britannici attribuiscono a Starmer meriti nella ripresa del dialogo Trump e Zelensky, dopo la maramalda sceneggiata nello Studio Ovale del 28 febbraio.

Il problema è ora che cosa la Russia chiede per accettare la tregua, oltre alla richiesta che gli ucraini depongano le armi nel Kursk per evitare l’annientamento: tutti i territori ucraini occupati, l’alleggerimento delle sanzioni; garanzie che l’Ucraina non possa riarmarsi e non aderisca alla Nato; e, magari, l’uscita di scena di Zelensky, eventualmente passando per le elezioni. Il New York Times scrive che Putin mantiene condizioni “inflessibili e massimaliste”, nonostante le pressioni di Trump perché dica sì al cessate-il-fuoco. E il Washington Post, che ha letto un documento negoziale russo finito in possesso dell’intelligence statunitense, conferma “la linea dura” moscovita.

Il presidente russo si dichiara “aperto” all’idea, ma aggiunge che “bisogna ancora discuterne” e metterne a punto i dettagli. Fra gli europei, il suo bersaglio preferito è il francese Macron, cui ricorda come finì l’invasione della Russia di Napoleone. Ma anche il programma ‘ReArm Europe’ della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è oggetto di ironie e scherni.

Yemen, l’attacco agli Huthi deteriora clima
Tutto ciò avviene un contesto in cui la sicurezza globale pare deteriorarsi, dopo le incursioni aeree e missilistiche statunitensi di ieri contro gli Huthi nello Yemen: le milizie sciite sono appoggiate dall’Iran, cui Trump ha rivolto un aspro monito. In un post sui social, Trump esprime la volontà d’usare “una forza letale devastante” contro i miliziani, responsabili di una “incessante campagna di pirateria, violenza e terrorismo contro navi, aerei e droni americani e non solo”.

Le fonti locali riferiscono di esplosioni, incendi, vittime nell’area di Sana, la capitale. Gli Huthi affermano che l’attacco statunitense, che potrebbe protrarsi nel tempo, “non resterà senza risposta”. E, a Baghdad, l’Iraq annuncia l’uccisione del capo dell’Isis, lo Stato islamico d’Iraq e Siria: un’operazione condotta dall’intelligence irachena in collaborazione con quella americana.

Tra Israele e Hamas, la tregua, pur scaduta, tiene, appesa al tenue cordone religioso del Ramadan e della Pasqua ebraica, nonostante infrazioni e scaramucce e le pressioni israeliane esercitate con il taglio di aiuti ed elettricità ai palestinesi della Striscia di Gaza. Ma i negoziati a Doha sono in stallo: si discutono ipotesi di rilascio degli ostaggi del 7 ottobre 2023 tuttora trattenuti – una cinquantina, di cui meno di venti sarebbero ancora in vita -, in cambio della liberazione di detenuti palestinesi. Ma Hamas vuole anche il ritiro degli israeliani dalla Striscia e accordi sull’assetto dell’area.