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L’Ucraina verso una tregua parziale, Gaza a corto di elettricità, giorni cruenti in Siria

11
Marzo 2025
Di Giampiero Gramaglia

Dopo ore di colloqui in Arabia Saudita, le delegazioni di Washington e di Kiev hanno pubblicato una dichiarazione congiunta per una pausa di 30 giorni nei combattimenti in Ucraina. Non è chiaro se l’offerta sarà giudicata accettabile da Mosca. Ma il fatto che statunitensi e ucraini abbiano trovato una posizione comune è un significativo passo avanti nelle relazioni fra i due Paesi dopo lo scontro del 28 febbraio nello Studio Ovale tra i presidenti Donald Trump e Volodymyr Zelensky. E, infatti, l’annuncio della proposta di tregua s’accompagna a quello della ripresa degli aiuti all’Ucraina, che erano stati bloccati.

Se è vero che più i negoziati sono vicini, più i combattimenti sono furiosi, le ultime tragiche cronache ucraine vanno lette come segnali incoraggianti: i contendenti cercano di guadagnare posizioni, o di mostrare vitalità, prima di intavolare le trattative. Dopo notti di attacchi russi intensi e cruenti su obiettivi ucraini, la scorsa notte almeno 60 droni ucraini sono stati lanciati su Mosca, proprio nell’imminenza dell’inizio dei colloqui, oggi, in Arabia Saudita fra delegazioni degli Usa e dell’Ucraina.

A credere alle fonti russe, i danni sono stati limitati: la stragrande maggioranza dei droni ucraini, 58 su 60, sono stati abbattuti. Ma l’allarme è stato generalizzato: gli aerei da e per due degli aeroporti di Mosca, Domodedovo e Zhukovsky, hanno subito ritardi o sono stati dirottati su altri scali.

Sul terreno, russi e ucraini si danno battaglia, dal Kursk al Donbas. Kiev starebbe valutando il ritiro dalla regione russa di Kursk, che ha parzialmente occupato ad agosto, perché 10 mila soldati sono a rischio accerchiamento, dopo che la Russia ha sfondato le linee di difesa principali. Media ucraini ammettono: “la logistica ucraina nell’Oblast di Kursk è stata distrutta” e “i soldati lì schierati vogliono ritirarsi”.

Ucraina, le proposte sul tavolo
Nelle proposte ucraine inizialmente presentate oggi ai negoziatori statunitensi in Arabia Saudita, non c’era un cessate-il-fuoco generale, anche di terra, ma una tregua parziale, di cielo e mare. L’avvio dei colloqui è stato preceduto dall’incontro tra il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la cui urgenza sarebbe di mettere fine, almeno temporaneamente, agli attacchi a lungo raggio condotti dalla Russia con droni e missili, oltre che alle operazioni di combattimento nel Mar Nero. Kiev considererebbe pure prioritario uno scambio di prigionieri su larga scala.

Per ottenere un cessate-il-fuoco, Zelensky sarebbe disponibile a condurre a termine la trattativa sulle risorse minerarie ed energetiche ucraine che interessano agli Stati Uniti, interrotta dopo la lite nello Studio Ovale. Per il segretario di Stato Usa Marc Rubio, quello di Zelensky è “un piano incoraggiante”.

Dal canto suo, il magnate presidente resta interessato ad accaparrarsi le ‘terre rare’ e altre risorse ucraine. Steve Witkoff, l’uomo di fiducia di Trump per l’Ucraina, ritiene che l’accordo possa chiudersi in settimana. E così, constata il Washington Post, lo strapotere Usa sul commercio di armi globale uscirebbe ulteriormente rafforzato dopo tre anni di invasione russa.

L’Europa cerca un ruolo e la sicurezza
Nel frattempo, l’Europa cerca di trovare un proprio ruolo nella cosa del conflitto ucraino e una via per affrancarsi dal possibile disimpegno statunitense. Keir Starmer ha indetto una nuova riunione, questa volta virtuale, per sabato prossimo, fra i leader della cosiddetta “coalizione dei volenterosi”, disposti a garantire con uomini sul terreno la pace in Ucraina dopo un accordo di cessate-il-fuoco con la Russia.

Ed esponenti della Difesa di oltre 30 Paesi sono oggi confluiti a Parigi per partecipare a colloqui sulla creazione di una forza di sicurezza internazionale per l’Ucraina. Un consulto reso più febbrile dalle indiscrezioni d’origine svedese su un possibile disimpegno degli Stati Uniti da Europa e Nato: un’anticipazione potrebbe esserne la decisione di Washington di non partecipare alla pianificazione delle future esercitazioni militari in Europa.

Secondo altre fonti, Trump sta valutando di ritirare 35mila soldati dalla Germania e di ridistribuirli nell’Europa dell’Est, in primis in Ungheria: una decisione che rischierebbe di rendere ancora più tese le relazioni transatlantiche. Il leader Usa ha più volte avvertito i partner europei che dovranno provvedere da soli alla loro sicurezza; ed è ora irritato perché proprio gli europei “paiono spingere per la guerra”, invece di indurre Kiev ad accettare  una pace resa. “Non ci sono annunci imminenti, ma l’esercito sta considerando il ridispiegamento di truppe in tutto il mondo per affrontare al meglio le attuali minacce ai nostri interessi”, ha detto Brian Hughes, portavoce della Sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

Le notizie che arrivano da Washington inducono molti in Europa ad alzare i toni. Il premier polacco Donald Tusk pensa di tornare al servizio di leva e ipotizza di avere mezzo milione di uomini in armi per fronteggiare la minaccia russa; e Politico gli attribuisce l’intenzione di dotarsi dell’atomica.

Israele preme sui palestinesi, Siria, bagliori di guerra civile
Mentre l’attenzione internazionale è più puntata sull’Ucraina, Israele taglia l’elettricità a Gaza, dopo avere già frenato i rifornimenti umanitari. Non è chiaro che impatto possa avere la nuova misura, ma si sa che gli impianti di desalinizzazione dell’acqua marina, indispensabili per la sopravvivenza nella Striscia, funzionano con l’energia israeliana.

Il taglio dell’elettricità e la riduzione degli aiuti uman itari sono tutte forme di pressione dìu Hamas perché accetti, dopo la fine della prima fase della tregua iniziata il 20 gennaio e conclusasi a inizio marzo, di restituire tutti gli ostaggi ancora in suo possesso – una cinquantina, di cui solo 15, però, sarebbero ancora vivi – in  cambio della liberazione di detenuti palestinesi dalle carceri israeliane, ma senza che le forze israeliane abbandonino la Striscia e senza ancora un’intesa sul futuro assetto del territorio devastato da oltre 17 mesi di guerra letale.

Si negozia, cogliendo l’opportunità della successione tra ilo Ramadan, il mese del digiuno islamico, in corso, e la Pasqua ebraica, ad aprile.

Ad accendersi, è invece di nuovo la Siria, dove, dopo giorni cruenti, il governo di Damasco ha fatto un accordo con i curdi del Nord-Est del Paese: l’intesa dovrebbe portare una gran parte della Siria  sotto l’effettivo controllo delle forze che rovesciarono a dicembre il presidente Bashar al-Assad. L’accordo prevede un cessate-il-fuoco fra gli ex jihadisti ora al potere e le milizie curde, nel tempo foraggiate dagli Usa, e la confluenza degli armati curdi nell’esercito siriano.

La notizia dell’intesa viene dopo giorni di violenze nel Paese che avrebbero fatto oltre mille vittime, fra cui 750 civili, specie nella comunità alauita, sostenitrice del deposto presidente Assad: scontri, ma anche vendette ed esecuzioni. E’ stato uno degli scoppi di violenza settaria più sanguinosi dall’inizio della guerra civile in Siria, nel 2011. Le fonti del regime attribuiscono la responsabilità dei combattimenti, lungo la costa, a Latakia e a Tartus, a sostenitori del deposto presidente, che avrebbero teso imboscate alle forze governative.

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