Economia / Lavoro

Contrattazione collettiva: un bene pubblico da difendere e valorizzare

20
Febbraio 2025
Di Renato Brunetta*

(L’articolo di Renato Brunetta per “L’Economista”, inserto economico de “Il Riformista”)
Il dibattito sul salario minimo dello scorso anno ha profondamente diviso le forze politiche e sociali del nostro Paese, ma ha anche lasciato in eredità una certezza da tutti condivisa, almeno a parole: quella della persistente centralità della contrattazione collettiva quale strumento principale, ancora oggi imprescindibile, per la regolazione di dettaglio dei rapporti di lavoro nei vari settori produttivi e nelle diverse tipologie di aziende e, più in generale, per garantire la sostenibilità di un moderno sistema economico e produttivo. 

Questa convinzione – che ho difeso in prima persona, contro le illusorie semplificazioni dei fautori della disintermediazione, anche con la firma il 10 marzo 2021 del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale tra Governo Draghi e Cgil-Cisl-Uil – è per me diventata ancora più forte e radicata da quando ho assunto la presidenza del CNEL, il Consiglio Nazionale della Economia e del Lavoro.

L’imponente archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro rappresenta una delle risorse fondamentali di questo Organo di rilevanza costituzionale, incaricato di facilitare il dialogo tra economia e società. 

Senza retorica né semplificazioni fuorvianti, esso racchiude la vita reale del nostro Paese, il suo metabolismo sociale, in definitiva la sua democrazia economica, nel suo divenire.

Un Paese che continua a mantenere prestigio e centralità nell’economia globale grazie all’impegno e alla dedizione di milioni di lavoratori, sia nel settore privato sia nelle amministrazioni pubbliche, e al dinamismo di centinaia di migliaia di imprese, ciascuna unica nel proprio genere. Queste  realtà trovano nella contrattazione collettiva – di settore, di territorio e di azienda – un punto di equilibrio mutevole e sempre dinamico tra le esigenze produttive e le istanze di tutela delle persone e del giusto salario.

Non a caso la contrattazione collettiva è riconosciuta e tutelata dalla nostra Carta costituzionale come standard di fissazione delle regole della competizione tra le imprese – una competizione che non deve trasfigurare il lavoro e le persone in mera merce   e come strumento per garantire la libertà e l’eguaglianza dei cittadini,  contribuendo – come afferma perentoriamente la Costituzione – al pieno sviluppo della persona umana e alla effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese. 

La contrattazione collettiva, nel disegno costituzionale, è tante cose (fenomeno economico, regola giuridica, istituzione sociale) ma è soprattutto un bene comune e, come tale, va difeso e valorizzato al pari del CNEL, luogo del dialogo e della collaborazione tra le forze sociali nella costruzione dell’Italia che vogliamo per i nostri figli e per le future generazioni. Una Italia giusta e capace di includere tutti, anche perché capace di crescere e di generare valore in modo condiviso.

Da questo punto di vista, senza voler entrare nel merito della dialettica politica, non posso che seguire con attenzione e senso istituzionale il dibattito parlamentare che è scaturito dalle ceneri delle proposte in materia di salario minimo per legge. Mi riferisco al disegno di legge delega al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva. 

Si può certamente discutere se in Italia sia necessaria una legge che stabilisca un minimo retributivo orario per tutti i lavoratori, un compito attualmente affidato alla contrattazione collettiva.

Ma non si può certo negare quanto di buono vi sia in questa proposta di legge, che si propone di contrastare il dumping contrattuale attraverso la valorizzazione dei contratti storici e più diffusi, e sulla trasparenza degli strumenti di verifica della effettiva applicazione dei contratti collettivi,  condizionando il riconoscimento di benefici e incentivi pubblici solo a chi rispetta i trattamenti contrattuali derivanti dalle buone relazioni industriali. Una legge delega stabilisce, naturalmente, solo principi generali e criteri direttivi, ma traccia anche una visione e un percorso da fare insieme: quello della contrattazione come bene comune.

Un percorso che sarà più facile e spedito se ben congeniato, magari attraverso un piano d’azione, come suggerito dalla stessa direttiva europea in materia di salari adeguati. 

Come CNEL noi ci siamo e siamo determinati a proseguire sempre nella direzione di contribuire alla trasparenza degli assetti normativi e retributivi espressi dalla contrattazione collettiva, un bene pubblico, lo ribadisco, da difendere e da valorizzare.

*Presidente del CNEL