Economia

Dazi USA: “Ne risentirebbero moda, mobili, legno, metalli, gioielleria e occhialeria”. Parla Granelli

19
Febbraio 2025
Di Paolo Bozzacchi

(L’intervista di Paolo Bozzacchi per “L’Economista”, inserto economico de “Il Riformista”)
Alla vigilia di possibili dazi USA più estesi da parte dell’amministrazione Trump, il punto sulle possibili ripercussioni per settori e filiere italiane, le regioni potenzialmente più impattate e i posti di lavoro più a rischio. Ne para il presidente di Confartigianato Marco Granelli.

L’Ufficio Studi di Confartigianato ha stimato un calo dell’export italiano verso gli USA tra il 4,3 e il 16,8% in caso di dazi commerciali del 10 o 20% imposti dal Presidente Trump ai prodotti made in Italy. Stiamo parlando di una perdita fino a 20 miliardi di euro. Quali sarebbero i settori di produzione più impattati dai nuovi dazi?
«A risentirne sarebbero, in particolare, i settori con la maggiore presenza di micro e piccole imprese dei settori della moda, mobili, legno, metalli, gioielleria e occhialeria». 

L’export verso gli USA che continua a crescere è trainato dalle micro e piccole imprese italiane, che hanno fatto registrare +3,95% nei primi 9 mesi del 2024, per un fatturato di quasi 18 miliardi di euro. Quali sono i settori protagonisti di questa crescita?
«Aumenti consistenti dell’export si sono registrati per i prodotti alimentari (+24,1%), del legno (+6,4%), dei mobili (+4,2%) e dell’abbigliamento (+3,5%). Gli Stati Uniti sono il primo mercato nel mondo per 43 prodotti italiani, tra cui alcune produzioni ad alta tecnologia come i macchinari e prodotti con una marcata vocazione artigiana come gioielleria e oreficeria, occhialeria, mobili per la casa, pietre tagliate e lavorate, articoli sportivi, vetro e la ceramica artistici, coltelleria , posateria, strumenti musicali». 

Le imprese italiane di tutte le dimensioni stanno affrontando una nuova sfida: quella della carenza di manodopera specializzata. Quanto è grave il problema?
«La scarsità di personale richiesto dalle imprese italiane è un fenomeno in costante peggioramento visto che la quota di lavoratori difficili da reperire è aumentata dal 40,5% nel 2022 al 47,8% nel 2024. E la situazione è ancor più pesante nelle aziende artigiane dove la quota di manodopera introvabile è passata dal 55,2% del 2023 al 59,2% dello scorso anno. Il problema della carenza di personale deve diventare centrale nell’agenda del Governo e del Paese. Serve un’adeguata politica formativa e un dialogo sempre più stretto tra la scuola, il sistema dell’istruzione professionale e le imprese».

Quali sono le regioni italiane più in difficoltà da questo punto di vista?
«Il problema riguarda tutta l’Italia ma con punte sopra la media e decisamente preoccupanti in Veneto, con il 65,2% di lavoratori introvabili, seguito da Umbria (65,1%), Friuli-Venezia Giulia  (64,8%), Trentino-Alto Adige (62,7%), Piemonte, Valle d’Aosta, Toscana ed Emilia-Romagna, (61,7%), Lombardia (61,2%)  e Abruzzo (59,6%)».

Quali sono le regioni italiane che esportano di più negli Stati Uniti e che quindi sono più esposte al rischio in caso di applicazione di nuovi dazi?
«Le regioni più esposte per la maggiore quota delle nostre esportazioni negli Usa sono la Lombardia con 13.510 milioni di euro (20,5% del totale nazionale), Emilia-Romagna con 10.754 milioni (16,3%), Toscana con 10.251 milioni (15,6%), Veneto con 7.174 milioni (10,9%), Piemonte con 5.189 milioni (7,9%) e Lazio con 3.344 milioni (5,1%)». 

Un settore già fortemente penalizzato dalla guerra commerciale USA-Cina è la filiera dell’automotive europea ed italiana, su cui pesano le misure UE legate alla decarbonizzazione. Quali strategie potrebbero essere adottate per diversificare i mercati di sbocco e rafforzare la competitività internazionale delle nostre aziende?
«Occorre rivedere gli obiettivi del Green Deal. La scelta politica di puntare esclusivamente sull’elettrico per la trazione delle auto, intrapresa da un numero limitato di Paesi, rischia di cancellare competenze e know-how costruiti in decenni di storia industriale europea. Sulla decarbonizzazione servono strategie più consapevoli e pragmatiche. L’UE deve aprirsi al concetto di ‘neutralità tecnologica’, ovvero spingere verso soluzioni tecniche diverse dal ‘puro elettrico’ che permettano la riduzione delle emissioni. Ma soprattutto l’UE e l’Italia devono dotarsi di un piano di sostegno agli investimenti e all’occupazione all’altezza della posta in gioco, aiutando le imprese a trasformarsi, accompagnandole nel cambiamento della produzione». 

La posizione di Confartigianato è ovviamente contraria ai dazi commerciali e sostiene il libero mercato e la libera circolazione delle merci. Come fare sistema al meglio a livello italiano per portare avanti questa posizione e pesare sul piano internazionale?  
«Il Governo, le forze politiche, le parti sociali hanno una grande responsabilità: mai come in questo momento devono remare tutti dalla stessa parte, superando frammentazioni e particolarismi, per difendere e promuovere la qualità del nostro patrimonio manifatturiero che ci fa apprezzare in tutto il mondo. Non possiamo competere sul prezzo, ma sicuramente dobbiamo batterci per aiutare le imprese a mantenere la leadership sui mercati internazionali grazie all’eccellenza e all’unicità dei prodotti made in Italy».

Quanto la Bussola per la Competitività UE può rappresentare una risposta efficace alle nuove posizioni protezionistiche dell’Amministrazione Trump? Cosa manca al mercato unico UE per essere competitivo a livello globale?
«La Bussola per la Competitività contiene gli impegni indispensabili per imprimere una svolta al mercato europeo che è unico soltanto a parole, mentre in realtà le regole sono diverse da un paese all’altro. Bisogna voltare pagina rispetto ad un’Europa in crisi d’identità, tecnocratica e frammentata. Bisogna mettere al centro dell’agenda politica Ue le aspettative dei 23,3 milioni di artigiani, micro, piccole e medie imprese che rappresentano il 99,8% del totale delle aziende del Continente, generano il 64,4% dei posti di lavoro e creano il 52,4% del valore aggiunto nell’Ue. E sulle quali pesano troppa burocrazia, troppi oneri amministrativi, pochi incentivi all’innovazione e alla creazione e trasmissione d’impresa, scarsi investimenti per qualificare le competenze necessarie a favorire l’occupabilità dei giovani e per fronteggiare le sfide dell’innovazione tecnologica e della sostenibilità».

Articoli Correlati

di Alessandro Caruso | 22 Febbraio 2025

Tra Ucraina, economia e scandali italiani

Harris Trump
di Giampiero Gramaglia | 22 Febbraio 2025

Trump liquida capo Stato Maggiore difesa; luna di miele finita?

trump ucraina
di Gianni Pittella | 22 Febbraio 2025

Imperialismo Usa-Russia, ora serve l’asse franco tedesco