Esteri
Dazi Usa, l’Ue a parole è per la linea dura ma Meloni è cauta
Di Giampiero Gramaglia
Mentre dall’America si accavallano le notizie sulla guerra dei dazi con la Cina – scattata oggi, botta e risposta – e con Messico e Canada, rinviata di 30 giorni, i leader dei Paesi dell’Ue adottano, almeno a parole, una linea dura nei confronti di Donald Trump e della sua Amministrazione: “Se saremo attaccati, reagiremo”.
Ne sono interpreti soprattutto Francia e Germania. L’Italia è cauta. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, dice: “Il rapporto con gli Usa è fondamentale per promuovere la pace, la stabilità e la prosperità. L’Ue è preparata per un dialogo robusto e costruttivo: ci possono essere sfide in futuro. Se colpiti, reagiremo con fermezza”.
Al Vertice informale dei 27, al Palais d’Egmont a Bruxelles, c’è la percezione che l’Ue possa essere bersaglio dei dazi di Trump che, intanto, dichiara una tregua di trenta giorni con Messico e Canada: i due Paesi accettano di rafforzare i controlli alla frontiera, per frenare l’emigrazione clandestina verso gli Stati Uniti e il traffico di Fentanyl, una droga rapidamente diffusasi dagli effetti devastanti (che, però, entra negli Usa perché gli americani la comprano e la consumano).
Dopo un colloquio tra Trump e la presidente messicana Teresa Sheinbaum Pardo, viene annunciato che il Messico schiererà 10 mila soldati al confine. Ed è pure una telefonata con il premier canadese Justin Trudeau a innescare la tregua al confine settentrionale degli Stati Uniti. Invece, con la Cina si va allo scontro: Pechino propone di tornare all’accordo del 2020 e mette sul piatto yuan, investimenti, fentanyl e forse pure TikTok, nel tentativo di ottenere una tregua durante la quale negoziare un accordo stabile; non funziona e scattano dazi e contro dazi.
Ue-Usa: un Vertice “a cuore aperto”, fra sussulti e fermenti
Sullo sfondo di questi continui sussulti provenienti da Washington, il Vertice informale dei 27, convocato per parlare di difesa europea, deve operare – scrive Politico – “a cuore aperto”, stretto com’è nella morsa tra le minacce economico-commerciali di Trump e quelle strategiche e militari della Russia di Vladimir Putin.
Anche il quadro politico europeo è in fermento. Di vertice in vertice, il numero dei governi dei 27 a guida sovranista aumenta: dopo l’Austria, tocca al Belgio, dove, sette mesi dopo il voto politico, c’è l’intesa per una coalizione a cinque con premier il conservatore fiammingo Bart De Wever.
Verso gli Usa di Trump, la linea che emerge dal Vertice è “facciamoci rispettare”. Ma i 27 sono divisi sul ‘buy american’, soprattutto sulle armi: comprare, o meno, negli Stati Uniti, per ridurre squilibri e, quindi, tensioni? Nella geografia delle posizioni europee di fronte al ciclone Trump, emersa piuttosto frastagliata dal consulto al Palais d’Egmont, Giorgia Meloni si mostra prudente: è, al momento, la leader che vanta i migliori rapporti con il magnate presidente e con il suo sodale – finché dura – Elon Musk, e governa un Paese che rappresenta la terza economia europea. Dunque, è ben piazzata per fare da ponte nel dialogo con Washington.
Sulla difesa europea, che doveva essere il clou della riunione, von der Leyen dice: “Oggi, c’è stato un dibattito di principio: tutti abbiamo avuto un approccio pragmatico, ci siamo detti che siamo pronti e iniziare subito… Siamo consapevoli che abbiamo dei compiti da fare sulla competitività, sulla produttività”. Il premier polacco Donald Tusk precisa: “Non siamo ancora pronti… Ogni cosa a suo tempo. Nessuno mette in discussione l’esigenza di andare avanti sulla difesa, ma per i dettagli dei metodi di finanziamento ci sarà tempo. Per me che sia stata considerata una priorità è molto importante: sicuramente non ci saranno passi indietro”.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, atteso fra tre settimane al test cruciale delle elezioni anticipate, afferma: “L’Ue è forte: abbiamo tutte le opportunità per badare ai nostri interessi… Questo è anche un messaggio agli Stati Uniti”, espresso anche “attraverso una mano tesa”. Scholz, però, esclude che, per finanziare la difesa, si possa creare un debito comune europeo, come fanno pure Svezia e Olanda, i ‘Paesi frugali’ per antonomasia.
Quanto alle pretese di Trump sulla Groenlandia, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa è esplicito: “L’Ue continua ad attenersi alla Carta dell’Onu, sovranità e integrità territoriale sono principi universali. Ci faremo sentire per preservare l’integrità territoriale della Danimarca, l’inviolabilità dei suoi confini e la sua sovranità”.
L’ultima sessione del Vertice informale è stata la cena dei 27 col premier britannico Keir Starmer: era la prima volta, dalla Brexit, che un premier del Regno Unito partecipava a un Vertice europeo. S’è parlato dei rapporti tra Ue e Londra, anche alla luce dell’arrivo di Trump alla Casa Bianca. Ma, nelle ultime settimane, le attese per un ‘reset’ delle relazioni ‘post Brexit’ si sono notevolmente ridimensionate, rispetto alle speranze suscitate dall’insediamento del governo laburista.
Ue-Usa: la posizione italiana
La posizione italiana ce la facciamo spiegare da Michele Esposito, il collega dell’ANSA che seguiva al Palais d’Egmont la premier Meloni, che da settimane predica pragmatismo nei rapporti con gli Stati Uniti: Roma ha già evocato la strategia del ‘buy american’ per trovare un’intesa. Ma, con il ripetersi degli attacchi da Washington, il richiamo alla prudenza di Meloni rischia di essere meno ascoltato. Nelle principali cancellerie europee cresce la consapevolezza che solo una risposta netta e unita agli eventuali dazi degli Stati Uniti può avere una qualche efficacia. Ed è una risposta dalla quale l’Italia non potrà comunque esimersi.
È stata così la prudenza la stella polare di Giorgia Meloni al tavolo dei leader europei. Con Trump, serve il dialogo: l’Europa non può infilarsi nel vicolo del “muro contro muro”, è il ragionamento – che la premier ha fatto ai suoi omologhi. Ad allarmare Roma è la crescente tentazione di rispondere per le rime alle minacce che sta emergendo in cancellerie come Parigi, Berlino e Madrid.
Meloni si è seduta al tavolo dei 27 con una consapevolezza: se sfuggire ai dazi americani per l’Italia non è impossibile – Trump, in teoria, potrebbe decidere di colpire i beni di Paesi che considera ‘nemici’, risparmiando gli ‘amici’ -, l’eventuale contrattacco di Bruxelles, con l’imposizione di dazi sui prodotti Usa, coinvolgerebbe comunque tutte e 27 le capitali. Nessuno può sfilarsi, anche perché è una decisione che, trattati alla mano, spetta solo alla Commissione.
La partita di Meloni non è semplice. Non tutti sono convinti che sia lei la migliore interlocutrice degli Usa a nome dell’Europa. Un po’ per il protagonismo di alcuni leader. Un po’ per lo scetticismo che, tra i partiti più europeisti – specie liberali e socialisti – resta sulle politiche della destra italiana.
Rispetto all’ala ultra-europeista, la posizione dell’Italia sull’ipotesi di una guerra dei dazi con gli Usa è vicina a quella di Polonia, Nordici e Baltici, più che mai intenzionati a limitare le ire di Trump per non perdere il sostegno degli Usa all’Ucraina. È questa, soprattutto, l’area che spinge per comprare più Gnl e più armi all’America, andando così incontro alle richieste di Washington.
Sul fronte militare, l’Italia è più che mai disponibile ad aumentare il suo contributo alla Nato, ma è totalmente contraria al fatto che l’aumento delle spese per la difesa pesi sui bilanci nazionali. E qui Meloni ha avuto assicurazioni da von der Leyen sulla “piena flessibilità”, sempre stando nell’ambito del Patto di Stabilità
Meloni starebbe programmando di essere ricevuta alla Casa Bianca a breve termine. E la Commissaria europea non ha mai nascosto la volontà di incontrare il presidente Trump, ma un bilaterale a breve appare difficile.