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L’invettiva morale non è una linea politica

03
Febbraio 2025
Di Daniele Capezzone

Fare l’opposizione – ad ogni latitudine – contro avversari forti e sintonizzati con lo spirito del tempo non è facile.

Quando la controparte politica ha con sé il vento del sentimento comune in un certo momento storico, è maledettamente complicato costruire una strategia alternativa. 

A volte è addirittura impossibile, e capita che uno schieramento debba subire la frustrazione di un decennio di sconfitte: una sorte così amara, anche in tempi non lontani, è toccata ai conservatori britannici negli anni del blairismo e ai repubblicani Usa nelle stagioni di Clinton e di Obama. 

Oggi questo destino tocca, in giro per il mondo, a una sinistra smarrita, le cui chiavi di interpretazione della realtà non funzionano più, o per lo meno non corrispondono ai sentimenti e alle ragioni di quote maggioritarie dell’elettorato al di là e al di qua dell’Atlantico.

E allora? Il “cosa fare” è complicato da suggerire: forse un criterio razionale sarebbe quello di scegliere uno-due temi forti da cui provare a ripartire. Più facile è invece il consiglio su “cosa non fare”: una buona regola è evitare l’invettiva morale contro il vincitore, una sorta di anatema etico che semmai certifica la condizione di impotenza politica di chi lo scaglia. L’invettiva moralistica non è una linea politica. 

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