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Sanità, Cnel: Rapporto Crea, “per risollevarla servono 40 mld”
Di Ilaria Donatio
Per risollevare il Servizio sanitario nazionale sono necessari almeno 40 miliardi. È l’indicazione che arriva dal 20° Rapporto di Crea Sanità, “Manutenzione o trasformazione: l’intervento pubblico in Sanità al bivio”, presentato oggi a Roma nella sede del Cnel, per il quale Crea Sanità cura le analisi sul funzionamento della pubblica amministrazione per gli aspetti sanitari.
Il nostro Paese potrebbe spendere per la Sanità 19,9 miliardi di euro in più, rispettando le compatibilità macro-economiche, secondo il Rapporto: ovviamente, una cifra lontana dalle possibilità di finanziamento reali, considerando che anche altri capitoli di spesa sono ancora sotto finanziati.
L’Italia è il più ricco dei Paesi più poveri in sanità
“In ogni caso – evidenzia il Rapporto – tale incremento non sarebbe sufficiente neanche ad allineare l’organico e le relative retribuzioni a quello medio degli altri Paesi europei. Per far fronte alle carenze di personale servirebbero almeno 30 miliardi di euro, e per allineare oltre l’organico le retribuzioni dei professionisti agli standard degli altri Paesi sarebbe necessario raddoppiare l’onere complessivo”.
Insomma si tratta di cifre che rendono bene l’idea del punto in cui siamo, ben espresso dalla frase, “oggi l’Italia è il più ricco dei Paesi più poveri per quanto riguarda la salute”.
Per soddisfare i bisogni sanitari, infatti, la popolazione italiana spende nel privato, ‘ufficialmente’, 41,4 miliardi di euro l’anno. Non solo: i conti sarebbero certamente ancora più alti considerando che “3,4 milioni di nuclei familiari dichiarano di rinunciare a consumi sanitari e 1,2 milioni effettivamente li azzerano”, ricorda il Crea.
Insomma, se si vogliono “mantenere le promesse fatte con le riforme che si sono succedute negli anni e con le leggi che hanno modificato l’organizzazione dell’assistenza, sono necessarie scelte precise, anche politicamente scomode”.
Brunetta: su stili di vita siamo all’anno zero
Quanto costa la mancanza di cultura alimentare? Secondo il presidente del CNEL, Renato Brunetta, moltissimo.
“Come CNEL stiamo lavorando a un testo di legge delega, finalizzato a delineare un quadro olistico, che parta dalla Sanità e poi vada oltre. L’obiettivo è favorire la diffusione di stili di vita sostenibili lungo tutto l’arco dell’esistenza, basati non su obblighi ma su stimoli, sollecitazioni, cultura, formazione. Se ci interroghiamo sulla sostenibilità del sistema sanitario, allora dobbiamo chiederci quanto costa la mancanza di cultura alimentare, ad esempio in termine di obesità o di consumi non appropriati”.
Su questo, indica Brunetta, “la scuola non è presente come dovrebbe in questo ambito. L’unico luogo dove trovare indicazioni è la rete, con informazioni prive di controllo, senza certificazione, senza validazione scientifica”.
La questione della sicurezza in Pronto Soccorso
La sicurezza non si risolve solo con i presidi. ne è convinto Brunetta che argomenta così: “I pestaggi nei pronto soccorso a cui assistiamo sempre più frequentemente, i continui episodi di violenza contro medici e operatori sanitari, sono il segno di un gap culturale enorme. Sono il riflesso di corti circuiti a cui non si può rispondere solo con un presidio di sicurezza, che ovviamente va garantita, ma che non basta. Serve una vera e propria rivoluzione culturale“.
Il problema delle risorse
La disponibilità di maggiori risorse finanziarie non garantisce maggiore equità. “Un sistema sanitario universalistico non vuol dire che sia sufficientemente equo. Anzi, sotto la foglia di fico dell’universalismo si possono nascondere tante iniquità. E non è neanche detto che la disponibilità di maggiori risorse finanziarie possa di per sé garantire più equità. Il problema non è solo quante risorse mancano ma è un problema di equilibrio ottimale. Non tutti i bisogni sono appropriati. Non tutti i bisogni possono avere una risposta in termini di spesa sanitaria”. Dunque, l’appropriatezza come parametro anche di analisi: “Nelle nostre analisi dobbiamo inserire la dimensione dell’appropriatezza, che non sia autoritaria ma comunitaria, consapevole, condivisa. È un discorso complicato e pieno di trappole. Dobbiamo anche chiederci se sia possibile una società del 20%. Un 20% di cittadini che si fa carico di finanziare tutto il sistema. E non solo in ambito sanitario”, ha concluso.