“Tecnodestra” è la nuova etichetta che ci accompagnerà nei prossimi anni per rappresentare chi ha vinto le più recenti elezioni.
C’è chi ne fa parte direttamente come il Presidente eletto Donald J. Trump, in procinto di effettuare il suo 2° giuramento alla presenza della crème della crème del capitalismo tech statunitense, primo fra tutti il suo amico Elon.
E chi invece ne viene accostato indirettamente come Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio di una nazione che si potrebbe effettivamente considerare di destra, ma a cui di “tecno” è rimasta forse solo la musica.
“Tecnodestra” quindi, nuovo pericolo per la democrazia a dire di chi fatica a relazionarsi con i risultati elettorali quando non combaciano con i propri successi.
Cento anni fa erano i Robber Barons ad essere determinanti per le vittorie, oggi lo sarebbero i leader delle principali aziende tecnologiche, desiderosi di mettere la mani sulle risorse della democrazia più ricca del pianeta o di proteggersi da eventuali interventi a gamba tesa della nuova Amministrazione.
Della reale influenza sulle elezioni non avremo probabilmente mai la verità, saranno gli storici a scrivere le loro analisi e a “pesarne” il valore in relazione non soltanto al Trump 2024, ma anche al Biden 2020, al Trump 2016 (di cui si scrisse già tantissimo) nonché all’Obama 2012, occasione in cui la connessione tra candidato e capitalisti tech veniva esaltata come punta più avanzata della democrazia digitale.
Quella che potremo invece tenere monitorata sarà l’influenza sulle policies della prossima Amministrazione, consapevoli però del fatto che non tanto cambierà rispetto al passato.
Il rapporto tra scelte politiche ed interessi economici è al cuore della democrazia, soprattutto quella americana, e non sarà l’inedito ruolo di un “consigliere” così visibile ed esposto mediaticamente come Elon Musk a cambiarne nel profondo i connotati.
Come scritto di recente dallo storico Niall Ferguson, sintetizziamo, il “potere” di Elon Musk e dello stesso Trump è già in questo momento al massimo possibile, perché dopo il giuramento del 20 gennaio le complesse dinamiche della “burocrazia imperiale” anestetizzeranno buona parte dei progetti espressi in forma di “tweet” (sì, siamo nostalgici).
Come si inserisce in tutto questo Giorgia Meloni, la cui presenza al giuramento sembra ormai certa e che farà di lei la più alta rappresentante di un Esecutivo europeo?
In parte con riferimento ad alcune scelte che attenderanno il suo governo, di cui ne evidenziamo solo alcune:
- scelte di politica estera rispetto ai teatri su cui la nuova Amministrazione cambierà direzione rispetto al passato;
- innalzamento delle spese militari in sede NATO per acconsentire alle richieste già esplicitate da Trump;
- dossier connettività satellitare e relativi possibili investimenti sulla Starlink di Elon Musk, con relativo confronto in sede europea sui consorzi già avviati e guidati dalla Francia;
- posizione dell’Italia verso le future scelte della Commissione UE in relazione ai dossier più caldi in ottica transatlantica come commercio, dazi e – ca va sans dire – rapporti con big tech.
In altra parte c’è il tema solito dell’alternativa in ottica 2027.
Già ci riusciva difficile immaginare un’ondata di consenso verso chi negli ultimi anni ha interagito con i cittadini solo attraverso lettere dell’Agenzia delle Entrate o Cartelle esattoriali; altrettanto difficile ipotizziamo una mobilitazione contro l’espansione del presunto “capitalismo tecnologico”, in una Nazione che fa fatica a far decollare la banda ultralarga o il 5G.
A mobilitare l’opposizione e, di conseguenza, costruire la futura alternativa ci sarà solamente uno e un solo elemento: il Disegno di legge costituzionale che introduce la separazione delle carriere per i Magistrati.
Questo sì che, purtroppo, è un tema mobilitante coerente con la storia italiana, altro che “tecnodestra”.