Fill the gap
Aziende quotate, i Cda con più donne fanno meglio. La strada verso la parità
Di Giampiero Cinelli
In Italia il 50% degli amministratori delegati ha più di 50 anni, è di sesso maschile e resta in carica in media per quasi dieci anni; tra i 40 CEO delle quotate a Piazza Affari solo 4 di loro sono stati selezionati per il ruolo quando avevano meno di 45 anni. Per quanto riguarda invece le figure femminili, su 40 aziende quotate solo il 3% degli amministratori delegati è donna. Parla da solo il report Route to Top, un’indagine condotta dalla società di head hunting Heidrick & Struggles sulla figura dell’Amministratore Delegato di oggi in Europa, America, Asia e Africa.
Molto c’è da fare
Ancora appare evidente la marginalità del ruolo femminile nel processo decisionale delle aziende. Nonostante siano stati fatti passi importanti dall’approvazione della Legge Golfo-Mosca (2011), e quindi sempre più donne siedano nei consigli di amministrazione, per gli anni 2021 e 2022 non risultano donne candidate per ricoprire un ruolo di guida societaria. Il dato è in linea con paesi come la Germania, ma è decisamente inferiore a quello della Francia, della Finlandia e della Danimarca.
L’impegno dell’Ue
Ulteriori interventi sono adesso indotti dall’Unione Europea, cha chiesto di recepire, entro giugno 2026, la Direttiva che obbliga ad avere, nelle società quotate, il 40% di donne tra gli amministratori non esecutivi e il 33% per tutti gli altri amministratori.
Il mondo fuori dalla borsa
Come si intuisce, questo complesso di indicazioni è condivisibile ma si applica a contesti aziendali specifici, senza negare che siano quelli più in grado di rispondere velocemente alla richiesta di cambiamenti, dunque scegliendo con maggior facilità in un bacino di persone, tra cui donne, con il miglior bagaglio di competenze e caratteristiche. Diverso il discorso per il mondo delle aziende non quotate, tendenzialmente più piccolo, con minori risorse economiche e dinamicità.
Italia in affanno
In Italia la presenza femminile nei Cda delle quotate è passata dal 6,3% del 2009 al 43% del 2023. Un dato importante, sebbene, nel numero totale di risorse attive nei board, le proporzioni tra donne e uomini restino insoddisfacenti. Il Paese in questo non brilla, tutt’altro. Più in generale, il gender gap sul lavoro in Italia è il doppio che nella media Ue. Inoltre, le donne hanno pensioni mediamente più basse e accedono meno degli uomini ai pensionamenti anticipati. Ciò anche per via della radicata tendenza a lavorare meno ore per svolgere mansioni domestiche e di cura.
La visione degli esperti
Secondo Niccolò Calabresi, Responsabile Sud Europa di Heidrick & Struggles, intervenuto a Largo Chigi, il talk di The Watcher Post: «La legge Golfo-Mosca ci ha permesso di colmare un ritardo sul gap di genere soprattutto sui livelli molto alti di governance. Dal basso ci vuole molto più tempo, il percorso è più lungo ma questa direttiva europea ci aiuta posizionando un target reale del 30% a livello di executive a cui dobbiamo puntare». Calabresi ha aggiunto: «In Italia stiamo facendo un percorso di formazione, selezione e sviluppo per garantire anche a donne manager di crescere da questo punto di vista e di arrivare a livello executive. Le percentuali al momento sono ancora molto basse, dobbiamo raggiungere in breve tempo livelli molto più alti. Il percorso è quello giusto e il fattore tempo è fondamentale. Ci sono dati in crescita importanti ma siamo ancora all’inizio e bisognerà essere in grado di andare oltre le grandi aziende quotate in borsa».
Bene le quote rosa ma ci vuole un percorso continuativo
Ospite di Largo Chigi anche Elena Bonetti, capogruppo di Azione alla Camera. Così l’ex Ministro per le Pari Opportunità e la Famiglia: «Abbiamo sostenuto la Direttiva europea sulle pari opportunità. E nel nostro paese la legge Golfo-Mosca ha migliorato la situazione. Le donne semplicemente non venivano convocate, quindi non è vero che le quote rosa danneggiano il merito. Aumentare la quota femminile è fondamentale non tanto per la giustizia rappresentativa ma anche per competitività: oggi manca un percorso di valorizzazione continuativa della carriera delle donne, non bastano le quote ma ci vuole formazione, sostegno al lavoro, abbassare il costo del lavoro femminile e aiutare un processo culturale».
Cosa serve alle non quotate
Bonetti ha ricordato: «Io ho presentato la legge che introduce la certificazione di parità di genere. Un modo per accompagnare le aziende. Perché va bene accelerare sulle partecipate e quotate, ma come traino, siccome la maggior parte delle imprese sono Pmi e lì ci vuole un percorso affinché le norme non siano orpello. Dopo il governo Draghi siamo scesi di un posto nella classifica della parità di genere. Il Family Act va attuato, aumentando il congedo obbligatorio di paternità; sono ancora le donne a sfruttare maggiormente il congedo».
Cosa si evince dalle ricerche
Vediamo ora i risultati individuati da chi fa ricerca accademica sull’uguaglianza di genere nelle imprese. Chiara Pronzato, docente di Economia e Statistica all’Università degli studi di Torino, ha spiegato a Largo Chigi che, pochi anni dopo l’introduzione della legge Golfo-Mosca, quando non era ancora richiesto il 40% di presenze nei board, molti Cda hanno superato le soglie stabilite. Ma la ricerca mostra «non grandi effetti a cascata sulle donne in posizioni manageriali o per chi è fuori dalla Golfo-Mosca. Interessante la certificazione di parità di genere, provvedimento più trasversale. Misurare gli effetti degli interventi è faticoso, noi abbiamo guardato a mano 5mila CV e i dati non bastano, mancano criteri stringenti sulle procedure e sulla selezione per avere un quadro il più possibile chiaro. Finché la scelta resta comunque libera, non abbiamo indicazioni sull’efficacia. Ad esempio succede che al rinnovo dei Cda qualcuno fa nuove nomine e qualcuno no. E nei Cda si trova ad ogni modo un numero di donne variabile. Gli indizi maggiori per la ricerca si trovano guardando quello che è successo dopo l’introduzione della legge».
I Cda con più donne fanno meglio
Dopo la premessa di analisi, Pronzato ha affermato di aver ravvisato «nei Cda con più donne migliori risultati finanziari e miglioramenti nelle quotazioni di borsa, mentre nelle società a controllo pubblico gli utenti si dicono più contenti del servizio. Questo perché con la legge Golfo-Mosca sono entrate persone più preparate, più giovani, con formazione adeguata e con le stesse lauree gli uomini. Soprattutto abbiamo dimostrato che la regola non è deleteria, le performance non peggiorano. Tuttavia non ritengo che le donne in questi ruoli, nel lavoro siano diverse dagli uomini per attitudini».
Il cambio culturale
«La legge Golfo-Mosca ha dato una spinta molto importante verso la parità di genere e ha incentivato la presenza delle donne in ruoli apicali. Oltre alle questioni normative, dove abbiamo il dovere di intervenire per cambiare questo fenomeno, c’è anche una questione culturale: le donne non sempre vengono incoraggiate a intraprendere una formazione adeguata, ad esempio nelle materie STEM. Inoltre, la percezione delle donne come leader all’interno delle aziende è ancora limitata. Nonostante questa legge abbia portato notevoli miglioramenti, le donne continuano a ricoprire ruoli nei consigli d’amministrazione che sono spesso intermedi e non decisionali, e questo influisce sulla possibilità di esprimere appieno le loro capacità nella gestione aziendale. Quello che stiamo facendo come Governo è di incentivare il lavoro femminile con misure adeguate come l’esonero contributivo, per aiutare il più possibile le donne, garantire servizi per le famiglie a supporto della natalità, e non metterle nelle condizioni di dover scegliere se rinunciare o meno al lavoro». Le parole a Largo Chigi di Elena Testor della Lega, Segretario Commissione Bilancio al Senato.
La puntata integrale di Largo Chigi