Innovazione
Un ponte rivoluzionario tra intelligenza umana e IA: le “interfacce cervello-computer”
Di Ilaria Donatio
Nuove applicazioni nell’ ambiti delle neurotecnologie potrebbero offrire alle persone veri “superpoteri” da applicare alle loro vite in modi illimitati, creativi e personalmente rilevanti: niente di fantascientifico, ovvio, ma dalla portata davvero rivoluzionaria.
Ne ha scritto qualche settimana fa il Financial Times, raccontando la storia di un italo-tedesco Michel Roccati: il 32enne è stato il primo al mondo a essere riuscito a camminare dopo una lesione midollare completa: grazie a una serie di elettrodi che i neurochirurghi di Losanna gli hanno infilato lungo il midollo spinale in un’operazione pionieristica avvenuta nel 2020.
Roccati ebbe un brutto incidente in moto, vicino Torino, che – racconta sul suo blog – gli “fece esplodere le ossa della schiena”, recidendogli il midollo spinale e interrompendo ogni comunicazione tra cervello e gambe: “I miei dottori” – scrive – mi dissero allora che non sarei mai più stato in grado di stare in piedi, figuriamoci camminare”.
L’uomo fa parte di un gruppo crescente di persone che trae beneficio da forme radicalmente nuove di neurotecnologia: in fase di sviluppo presso laboratori universitari e aziendali in Europa e Nord America, utilizzano impianti computerizzati per interagire con il cervello umano e il sistema nervoso centrale.
Queste interfacce cervello-computer (Brain Computer Interface) possono “aggirare” gli ostacoli neurali che impediscono alle persone gravemente disabili, a causa di incidenti o malattie, di muovere gli arti, e consentono a chi non è in grado di parlare o usare una tastiera, di comunicare.
Secondo Michael Mager, amministratore delegato di Precision Neuroscience, una società statunitense specializzata in Brain Computer Interface mediche, nel giro di pochi anni, “le BCI potrebbero trasformarsi in un mercato dal valore di diversi miliardi di dollari all’anno, destinato alla cura di pazienti con gravi disabilità motorie dovute a lesioni o malattie”.
Ma le implicazioni a lungo termine sono molto più grandi: “Stiamo creando un collegamento tra l’intelligenza umana e l’intelligenza artificiale”, ha spiegato al FT, Mager.
È Neuralink la più nota società di BCI – ha raccolto più di 600 milioni di dollari – fondata da Elon Musk nel 2016 con l’obiettivo di sviluppare una tecnologia di uso generale per connettere il cervello umano e le macchine.
Da tempo, il cofondatore e capo di Tesla, SpaceX e Neuralink – oggi braccio destro di Donald Trump – parla di utilizzare collegamenti per creare un ponte tra l’intelligenza umana e quella artificiale. Ad esempio, l’imprenditore sudafricano naturalizzato statunitense, sostiene che aumentare notevolmente la velocità con cui il cervello può assorbire e comunicare informazioni potrebbe superare quello che lui vede come uno dei principali limiti alla capacità degli esseri umani di tenere il passo con i progressi nell’intelligenza artificiale.
Ma molto prima del futuro “cyborg” sognato da Musk, molti esperti del settore prevedono che la tecnologia verrà utilizzata in modi più pratici per superare, appunto, i limiti fisici personali e migliorare così le prestazioni individuali, ad esempio accrescendo le capacità visive e uditive o potenziando la memoria.
“Siamo ancora lontani da questo obiettivo, ma non credo sia difficile immaginare che nel tempo questa tecnologia venga adottata da persone altrimenti sane”, dice sempre al FT, Mager.
Gli ostacoli tecnici, dunque, restano elevati: raccogliere, esportare e interpretare i segnali dal cervello è ancora una scienza agli inizi, mentre l’intervento chirurgico cerebrale invasivo richiesto, esclude la procedura per tutti i pazienti, tranne – ovviamente – per quelli gravemente disabili. Per ora.
È chiaro che questa potenziale linea di sviluppo della tecnologia che molti danno per certa, sollevi profonde questioni etiche. “Il lato medico è già ben protetto dagli enti regolatori e dalle normative esistenti”, commenta il direttore del NeuroTechnology Center della Columbia University di New York, Rafael Yuste: “Ma la tecnologia crescerà a dismisura e si diffonderà al lato non medico”, aggiunge, ponendo nuove importanti domande su quanto lontano le persone dovrebbero essere autorizzate ad arrivare per migliorare le proprie capacità mentali, ad esempio la propria memoria.
Eppure, in laboratorio, l’uso di segnali cerebrali per attivare computer e altre macchine, qualcosa che fino a poco tempo fa sembrava fantascienza, sta diventando quasi una routine, avviando la tecnologia su un percorso che potrebbe avere conseguenze a lungo termine. “Questo è un punto di svolta per l’umanità“, conclude Yuste.