Deve evidentemente trattarsi (ne dubito: ma tant’è) di una fascia elettoralmente ritenuta poco significativa. O forse (più probabilmente) di un segmento sociale che non ha molti portavoce televisivi, non ha partiti di riferimento, non sciopera, non urla, non minaccia, non blocca aerei-treni-bus.
Sto parlando degli italiani che, secondo il pauperismo corrente e il socialismo (inconsapevole) diffuso, hanno la grave “colpa” di guadagnare più di 50mila euro lordi l’anno. Specifico: lordi.
Ecco, questi nostri concittadini sono soggetti a una tassazione Irpef sovietica (43%), che, sommata agli altri balzelli esistenti, sottrae complessivamente circa la metà del reddito prodotto da questi contribuenti.
Ma non basta tosarli. Occorre pure offenderli (lo fa regolarmente la sinistra, trattandoli da evasori se si tratta di partite Iva) o comunque sottoporli a rituali di umiliazione e degradazione (provvede l’Agenzia delle Entrate con le sue letterine) o almeno (qui interviene la destra) a ignorarli del tutto, a non farne oggetto di alcuna misura di incoraggiamento e sostegno.
Tutto in Italia (norme, parole, trasmissioni tv, chiacchiere giornalistiche) è concentrato sulle fasce basse e bassissime. Il che certamente mostra una apprezzabile sensibilità sociale di molti nostri politici. Ma ne svela anche una tendenza a trascurare la spinta e l’incoraggiamento all’ascesa, alla crescita, al miglioramento della posizione di vita dei cittadini. La signora Thatcher – al contrario – pensava agli “aspirational voters”, a quelli che volevano guadagnare di più, comprare casa, consumare maggiormente. E faceva bene, a mio avviso.
Domanda ai nostri politici: siete proprio sicuri che sia saggio trascurare queste esigenze e questi italiani?