L’attesa, la tensione, il sollievo. La nomina di Raffaele Fitto a Vicepresidente esecutivo della Commissione Europea dovrebbe essere solo questione di tempo, dopo l’accordo trovato tra i coordinatori delle Commissioni dell’eurocamera e soprattutto tra i partiti di maggioranza, Ppe, S&D e Renew. A questo punto la nomina ufficiale è prevista nella Plenaria del 27 novembre, insieme a quella degli altri due Vicepresidenti che erano in bilico: Teresa Ribera (S&D) e Henna Virkkunen (Ppe). Gli altri tre, già al sicuro, sono Kaja Kallas, Roxana Minzatu, Stéphane Séjourné.
Lo stallo si era creato a seguito della richiesta del Ppe di inserire nella lettera di valutazione di Ribera l’impegno a dimettersi qualora fossero emerse responsabilità giudiziarie per i fatti dell’alluvione di Valencia. Il punto è stato sostenuto anche dalla Lega e dai Patrioti, che però non hanno votato Ribera.
Alla fine la richiesta è passata come dichiarazione di minoranza; a loro volta i Socialisti hanno ottenuto che nella lettera di Fitto fosse riportato che S&D e Renew non approvano la nomina del politico italiano, che si aspettano egli sia pienamente indipendente dal suo governo, che si impegni nel caso a far scattare il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto e a lavorare sul rafforzamento dello Stato di diritto nell’Ue.
Le forze di maggioranza, un accordo l’avevano trovato prima fra di loro, firmando una dichiarazione di cooperazione. Una delle principali resistenze che tenevano Fitto nel dubbio, derivava dal mancato voto di Fratelli D’Italia a von der Leyen. Tuttavia, proprio la presidente della Commissione Ue non aveva mostrato titubanze nel proporre Fitto, in virtù di valutazioni politiche e della fiducia che il Ppe non ha mai nascosto nei confronti del ministro.
Ora si attende un ultimo passaggio formale, poi il voto a Strasburgo, in una giornata che forse non sarà comunque esente da segnali e prese di posizione. Ad ogni modo il nuovo europarlamento, come quello precedente, dovrà reggersi sulla collaborazione tra tre forze, due le più importanti in termini di numeri ma appartenenti a famiglie diverse. Ma l’intesa è obbligata se non si vuole far prevalere le forze più sovraniste, che si sono riorganizzate e possono giocare molto bene la loro partita nella dialettica parlamentare.