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Usa 2024: + 6, i programmi di Trump per il primo giorno alla Casa Bianca

11
Novembre 2024
Di Giampiero Gramaglia

Un impulso alla deportazione degli immigrati ricorrendo all’esercito, la concessione della grazia agli insorti del 6 gennaio e la cancellazione dei processi in cui lui è imputato: questa è un’agenda del presidente eletto Donald Trump nel primo giorno del suo secondo mandato, quel giorno in cui lui stesso ha detto che si sarebbe comportato da “dittatore”.

I media Usa analizzano quello che Trump ha promesso di fare in campagna elettorale e quello che può fare esercitando i suoi poteri nel momento in cui varcherà di nuovo la soglia della Casa Bianca.

Un altro obiettivo a breve termine è l’uscita degli Usa dagli accordi sul clima di Parigi: andirivieni ormai stucchevole, dentro con Obama, fuori con Trump 1, di nuovo dentro con Biden, di nuovo fuori con Trump 2; e, soprattutto, lesivo delle possibilità per il Pianeta di centrare obiettivi ritenuti minimi e indispensabili per frenare il riscaldamento globale, nel segno di un negazionismo ispirato non dalla scienza ma da mere e miopi considerazioni economiche a breve termine.

E poi ci sono le guerre, cui Trump vuole porre fine. Indicazioni sono già emerse nelle telefonate che l presidente eletto ha avuto, a quanto si è appreso, con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, suo sodale, e con i presidenti russo e ucraino Vladimir Putin e Volodymyr Zelenski.

Con Netanyahu, l’intesa è una sorta di carta bianca fino al 20 gennaio, giorno dell’insediamento, purché poi torni la calma nella Regione. Con Putin, più che con Zelensky, che sta sul chi vive, l’ipotesi è un cessate-il-fuoco lungo la linea del fronte attuale, in attesa che i negoziati definiscano futuri assetti dei confini russo-ucraini e anche i percorsi dell’Ucraina verso Ue e Nato.

A Putin, Trump avrebbe chiesto di evitare escalation nell’intensità del conflitto di qui all’insediamento, proprio mentre le forze russe sono impegnate, insieme ai loro alleati nord-coreani, nella riconquista dell’area della regione di Kursk occupata da mesi da forze ucraine.

Nel Trump 2 – ha già fatto sapere il magnate -, non ci sarà posto né per Nikki Haley, la sua rivale per la nomination repubblicana, l’ultima a desistere, che poi gli ha dato l’endorsement, ma che in campagna elettorale non s’è fatta vedere, a parte una sortita sul Wall Street Journal, e neppure  per Mike Pompeo, che, nel primo mandato, fu capo della Cia e poi segretario di Stato e che si pensava potesse assumere la guida del Pentagono come segretario alla Difesa, ma che paga le distanze prese dal nmagnate dopo il 6 gennaio 2021. Come segretario di Stato, salgono le quotazioni del senatore della Florida Marco Rubio.

A fronte di tutti questi segnali di un secondo mandato di rivalse personali e di decisioni drastiche, hanno poco peso le parole del presidente della commissione giustizia della Camera, Jim Jordan, vicino a Trump, che, nei talk show della domenica, dice di non aspettarsi che il presidente eletto persegua i suoi rivali politici come ha detto volere fare quando assumerà l’incarico. “Non l’ha fatto nel suo primo mandato”, ha detto, durante un’intervista con la conduttrice della Cnn Dana Bash, ricordando che Trump non perseguì Hillary Clinton, nonostante avesse fatto campagna sullo slogan “mettetela dentro”, mentre i democratici nel quadriennio di Biden hanno perseguito Trump.

Della transizione, Trump e il presidente in carica Joe Biden parleranno mercoledì 13 novembre, quando si incontreranno alla Casa Bianca: un incontro di cortesia e di prammatica, che, però, Trump, nel 2020, non volle avere, così come non riconobbe mai la sua sconfitta.

A chi continua a sostenere che il Trump 2 sarà diverso dal Trump 1, Stefano Feltri sui suoi Appunti ricorda che, questa volta, il magnate “non ha soltanto vinto, ma ha ricevuto il mandato per cambiare il Paese nel profondo. E questa volta ci sono i piani per farlo”, a partire dal Project 2025 all’America First Policy Institute, rinnegato in campagna per oppurtunismo elettorale, ma pronto ora per essere messo in pratica.

Intanto, si completa il quadro dei risultati del voto del 5 novembre. Il Computo dei Grandi Elettori è ormai definitivo, dopo l’ufficializzazione dei dati dell’Arizona: 312 a Trump, 226 a Kamala Harris, con la conquista, da parte del presidente eletto, di tutti e sette gli Stati in bilico – Pennsylvania, Michigan e Wisconsin; North Carolina e Georgia; Arizona e Nevada -. Trump ha avuto oltre 73 milioni 800 mila voti, 600 mila in più che nel 2020; Harris oltre 71 milioni 200 mila, quasi esattamente 10 milioni in meno di Biden.

Sulla scomparsa di quei dieci milioni di elettori democratici, è intenso il dibattito su media e social: il maschilismo strisciante fra i neri e gli ispanici, l’ostilità latente delle donne bianche a una prima presidente donna nera, l’insoddisfazione della sinistra per le posizioni dell’Amministrazione Biden sul conflitto in Medio Oriente (troppo filo-israeliana e non abbastanza filo-palestinese) non paiono sufficiente a spiegarli, ma certo ne motivano una grossa fetta.

I democratici si interrogano attendendo l’esito di quella autopsia del voto cui faceva riferimento giorni fa il New York Times, ancora senza un coroner, cioè un medico legale designato. C’è consenso sul fatto che i candidati democratici, a partire da Harris, non abbiano saputo dare risposte alle preoccupazioni dei cittadini e si siano troppo concentrati su Trump e sui pericoli da lui rappresentati per la democrazia

Al Senato, manca da assegnare un seggio, ma i repubblicani sono già garantiti della maggioranza, con 53 seggi (da 49) contro 46 ai democratici (da 51) . Alla Camera, mancano ancora da assegnare alcuni seggi, ma i repubblicani sono già a quota 214, molto vicini alla maggioranza di 218 su 425, avendone sottratti sette ai democratici, mentre i democratici sono a quota 205, avendone sottratti cinque ai repubblicani.

Per prima cosa, in campo democratico, si tratta di scegliere il nuovo capo del Comitato nazionale democratico, perché Jaime Harrison, l’attuale, non vuole brigare un rinnovo del mandato e il posto deve essere riempito entro il primo marzo, secondo gli statuti del partito. Il presidente del Cnd non ha un grande peso politico, ma è una figura essenzialmente organizzativa e dovrà subito cominciare a preparare la campagna per il voto di midterm del 2026.

Tra i ranghi dell’asinello volano gli stracci, con Nancy Pelosi a puntare il dito contro Biden per le dimissioni tardive.

Nelle Università statunitensi, intanto, si intensificano i messaggi e le attività pro-palestinesi e pure pro-Hamas, anche se le manifestazioni contro la guerra sono meno intense che in primavera. Trump si è impegnato a stroncare le proteste e a deportare gli studenti stranieri che vi partecipano.

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